Dopo anni di relazioni a dir poco tese, il premier britannico Boris Johnson è diventato paradossalmente il migliore alleato dell’Unione Europea. La sua posizione inflessibile sull’Ucraina contro la Russia di Vladimir Putin rappresenta un ancora di sicurezza per gli stati orientali e per la stessa Bruxelles. Ma proprio mentre sembrava che con Londra le tensioni sulla Brexit fossero alle spalle, queste stanno riesplodendo negli ultimi giorni. Downing Street minaccia il ritiro unilaterale dall’accordo sull’Irlanda del Nord. Per la Commissione europea sarebbe inaccettabile e rischierebbe di minare in maniera irreparabile alle relazioni commerciali e diplomatiche con Oltremanica.

Lite con Bruxelles sull’Irlanda del Nord

L’accordo sulla Brexit contempla tra l’altro il “Protocollo dell’Irlanda del Nord”. Al fine di mantenere integre le relazioni commerciali sull’isola irlandese, divisa come sappiamo tra il nord appartenente al Regno Unito e Repubblica d’Irlanda, in sede di negoziato la UE ottenne l’assenza di frontiere interne. In pratica, merci e persone possono circolare liberamente tra le due Irlande. Ma c’è un paradosso: alcune merci in ingresso nel Nord Irlanda dal Regno Unito sono sottoposte a controlli doganali, come se si trattasse di esportazioni da un paese extracomunitario verso uno comunitario.

Questa situazione ha provocato proteste incandescenti da parte dei partiti unionisti dell’Irlanda del Nord, i quali lamentano che così la Brexit avrebbe separato formalmente il loro territorio dal resto del paese. E alle recenti elezioni locali per il rinnovo del Parlamento, i nazionalisti cattolici e indipendentisti di Sinn Fein hanno ottenuto la maggioranza dei seggi. Uno smacco per Londra, che si vede ora costretta a reagire per evitare scenari separatisti al di là del Mare d’Irlanda.

La difficile congiuntura per l’economia UK

Questo quadro già complesso di suo rientra in uno scenario ancora più complesso. L’inflazione britannica è salita ad aprile al 9%, record dal 1982.

Il Misery Index, somma tra inflazione e disoccupazione, si trova anch’esso ai massimi da 40 anni. Anche Londra patisce i problemi del carovita legato al boom dei prezzi energetici. Ma qui forse sono stati acuiti dalla Brexit e il governo Johnson ritiene che proprio il protocollo nordirlandese starebbe aumentando i costi di trasporto e burocratici, i quali sono successivamente scaricati dalle imprese ai consumatori.

Ma la guerra è stata, se ci permettete il termine irrispettoso, una mezza benedizione per Downing Street. Sono passate in secondo piano le polemiche proprio sugli effetti della Brexit nella vita di tutti i giorni. E il premier ha potuto allontanare finora lo spettro delle dimissioni sul “partygate”. In pratica, si è scoperto che mentre il suo governo imponeva durissime restrizioni anti-Covid alla popolazione, insieme a numerosi esponenti politici organizzava feste a Downing Street, in barba alle regole di distanziamento sociale e che vietavano gli assembramenti.

I tatticismi di Johnson sulla Brexit

La Banca d’Inghilterra ha già alzato quattro volte di seguito i tassi d’interesse, portandoli all’1%, livello massimo da inizio 2009. Ciò non ha impedito alla sterlina di indebolirsi del 7,5% quest’anno a 1,25 contro il dollaro. Era a 1,35 a inizio anno. Il trend, va detto, riguarda un po’ tutte le principali valute mondiali, tra cui particolarmente euro e yen. Davvero il premier Johnson può permettersi di tirare la corda sulla Brexit in piena inflazione galoppante e con l’economia britannica a rischio recessione? Probabile che voglia farlo nella consapevolezza che l’Europa continentale abbia più che mai bisogno di Londra per battere la Russia. Mai come adesso otterrebbe le migliori condizioni negoziali per il Regno Unito. Ma l’incertezza rischia di accrescere i rischi per l’economia di tutta Europa in una fase già complicatissima di suo.

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