La svolta politica non c’è stata, quella di politica economica sì. Ed è così che il mercato torna a guardare con attenzione alla Turchia. Dal secondo turno delle elezioni presidenziali del 28 maggio scorso, la Borsa di Istanbul è in preda a un vero boom azionario. Segna un rialzo del 33,3%, esattamente un terzo. E l’altra buona notizia è che stanno tornando gli investitori stranieri. Secondo i calcoli del Financial Times, nelle tre settimane di giugno successive alla nomina di Hafize Gaye Erkan a governatore della banca centrale e di Mehmet Simsek a nuovo ministro delle Finanze, i capitali dall’estero affluiti sono stati pari a 973 milioni di dollari.

Risulta essere l’importo più alto dal novembre 2021, un mese non a caso. Allora, la nomina di Naci Agbal a capo della banca centrale fece sperare in un cambio di passo per la politica monetaria. La svolta, tuttavia, durò appena quattro mesi. A marzo, il presidente Recep Tayyip Erdogan lo licenziò per rimpiazzarlo con Sahap Kavcioglu, rimasto in carica fino a un mese fa. Un disastro totale. Tagliò i tassi fino all’8,50%, mentre l’inflazione volava fin sopra l’85%.

Tassi su, crolla lira turca

Al board di giugno Erkan ha alzato i tassi al 15%. Meno di quanto ci si aspettasse, anche se la vera scommessa consiste nel toccare con mano la svolta lungo i prossimi mesi. La prima donna a capo dell’istituto ha anche allentato alcune misure tese a restringere i movimenti dei capitali. La lira turca è così precipitata di un altro 20%, portandosi contro il dollaro ad un tasso di cambio superiore a 26. Secondo gli analisti, potrebbe deprezzarsi ancora fino al range 28-30.

Allargando l’orizzonte di osservazione fino all’inizio dell’anno, il boom azionario non c’è stato. La borsa è in rialzo di neppure l’8%, sebbene in dollari sia precipitata del 20%. A giugno, l’inflazione è rimasta sostanzialmente stabile, passando dal 39,6% al 38,2%.

E al netto di energia e generi alimentari ha accelerato al 47,3%. Su base mensile, la crescita è stata del 3,9%, la più alta in cinque mesi. Per Erkan c’è tanto lavoro da fare. Il tracollo della lira continua a far aumentare i costi dei beni importati. Il rialzo dei tassi dovrebbe frenare la caduta, che ci sarà comunque.

Boom azionario, ma possibile recessione economica

E ci sono segnali di raffreddamento dell’economia turca. A giugno, il deficit commerciale è sceso del 34,5% su base annua a 5,4 miliardi di dollari. In particolare, le importazioni sono crollate del 16,8%, segno sia del calo dei prezzi dell’energia, ma anche dei consumi interni. Da questo punto di vista, il boom azionario sembra tutt’altro che solido. Se l’economia va male, perché correre ad acquistare le azioni delle società quotate? E’ anche vero, però, che il rapporto tra prezzi e utili attesi nei prossimi mesi è solo di 5, nettamente inferiore alle medie internazionali. Dunque, vi sarebbe molto spazio per la crescita e fa gola agli investitori stranieri che il valore delle azioni in lira turca sia molto, molto “cheap” dopo il collasso del cambio.

L’aumento dei tassi non è certamente finito. Anche a luglio Erkan dovrebbe proseguire con la stretta, necessaria anche per riacquistare la fiducia dei mercati. Intanto, le riserve valutarie nette stanno risalendo dai minimi storici toccati a inizio giugno. Anche questo sarebbe un segnale di lento ritorno alla normalità dopo anni di politica monetaria disfunzionale. Probabile, comunque, che si dovrà passare per una recessione economica o perlomeno per un forte rallentamento del PIL nella seconda metà dell’anno. L’era del credito facile sta giungendo al termine. Con la speranza che Erdogan non ripeta gli errori del passato e tra qualche mese rovesci il tavolo.

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