La maggioranza ha trovato la quadra sul taglio delle tasse e ha deciso di non concentrarlo esclusivamente sull’IRPEF, bensì di estenderlo all’IRAP. Scartata l’ipotesi di un taglio dell’IRAP solamente per il 2022, idea a dir poco demenziale. Invece, clamorosamente i due opposti schieramenti della maggioranza hanno convenuto circa la riduzione da 5 a 4 degli scaglioni IRPEF. Fino ad oggi, queste sono le aliquote sui redditi delle persone fisiche:

  • 23% fino a 15.000 euro;
  • 27% da 15.001 a 28.000 euro;
  • 38% da 28.001 a 55.000 euro;
  • 41% da 55.001 a 75.000 euro;
  • 43% sopra 75.000 euro.

I numeri del taglio dell’IRPEF

Ecco quali saranno gli scaglione dal 2022:

  • 23% fino a 15.000 euro;
  • 25% da 15.001 a 28.000 euro;
  • 35% da 28.001 a 50.000 euro;
  • 43% sopra 50.000 euro.

Saranno accorpati, quindi, i due scaglioni di reddito più alti, che contrariamente a ogni previsione comporteranno un aumento della tassazione per i contribuenti, dato che l’aliquota del 43% scatterà già dai 50.000 euro, anziché dai 75.000.

Detto questo, il tema delle risorse resta centrale. Il governo Draghi ha destinato al taglio delle tasse solamente 8 miliardi di euro. Tagliare l’IRAP sulle società di persone costerebbe 2 miliardi. Ne resterebbero 6 per il taglio dell’IRPEF. Ogni punto in meno dell’aliquota al 27% costerebbe 2 miliardi, mentre ogni punto in meno dell’aliquota al 38% circa 1 miliardo. La riforma sopra esposta comporterà un minore gettito tra 6,5 e 7 miliardi.

Sono questi i numeri con cui bisogna confrontarsi. Ed ecco spuntare l’ipotesi di “assorbire” il bonus Renzi, così da razionalizzare il sistema fiscale. Parliamo dei famosi 80 euro al mese in busta paga, che dallo scorso anno sono saliti a 100 euro. Per i redditi da lavoro dipendente e assimilati funziona così:

  • 100 euro al mese fino a 28.000 euro;
  • da 100 a 80 euro al mese per i redditi tra 28.000 e 35.000 euro;
  • da 80 a 0 euro per i redditi tra 35.000 e 40.000 euro.

In pratica, chi dichiara redditi fino a 28.000 euro lordi all’anno intasca tutti i 100 euro al mese, cioè 1.200 euro all’anno.

Per coloro che dichiarano tra 28.000 e 35.000 euro, il bonus Renzi scende fino a 80 euro al mese o 960 euro all’anno. Infine, chi dichiara tra 35.000 e 40.000 euro, il bonus Renzi scende fino ad azzerarsi e non spetta sopra tale soglia. I dati sono tarati sui giorni di lavoro rispetto ai 365 dell’anno solare.

Le distorsioni del bonus Irpef

Da quanto scritto, emerge che un lavoratore con un reddito di appena 10.000 euro all’anno, grazie al bonus Renzi percepisce qualcosa come il 12% in più in busta paga. Invece, un lavoratore che percepisce 28.000 euro all’anno, si vede accrescere il reddito di neppure il 4,3%. Queste percentuali ci fanno capire quanto sarà molto difficile assorbire il bonus Renzi con il taglio dell’IRPEF. In effetti, non ci sarebbe alcun modo di compensare i lavoratori a basso reddito per la perdita, a fronte della riduzione delle aliquote.

Il suddetto lavoratore con reddito da 10.000 euro all’anno paga di IRPEF appena il 4% del proprio reddito, cioè il 23% della somma eccedente gli 8.174 euro all’anno. Quand’anche la tassazione gli fosse azzerata, perderebbe qualcosa come quasi 800 euro all’anno per effetto del mancato percepimento del bonus Renzi. E lo stesso lavoratore con reddito di 28.000 euro dovrebbe vedersi ridotta l’IRPEF effettiva di oltre 4 punti percentuali per non rimetterci. Ma bene che gli andasse, l’aliquota del 27% gli sarà abbassata al 25%, risparmiando 260 euro all’anno o poco più di 20 al mese.

Del resto, i numeri complessivi parlano chiaro: il bonus Renzi ammonta a più di tutti gli 8 miliardi di euro destinati al taglio delle tasse. E poiché quest’ultimo riguarda anche, se non soprattutto, i contribuenti che non beneficiano della misura introdotta nel 2014 dall’ex premier fiorentino, mai e poi mai il suo assorbimento esiterebbe un risultato neutro per gli attuali beneficiari.

L’attacco al bonus Renzi

Certo, il problema esiste. Il bonus Renzi ebbe tanti meriti nel sostenere i consumi dopo la lunga recessione tra il 2011 e il 2014. Fu una misura finalmente favorevole ai redditi medio-bassi e mise realmente qualcosa in tasca ai contribuenti. Tuttavia, tecnicamente fu congegnata in maniera diabolica. Non è possibile modificarlo senza danneggiare qualcuno e, soprattutto, provoca distorsioni contabili e macroeconomiche. Viene erogato lo stesso importo indipendente dai redditi, salvo le modifiche apportate negli anni e di cui sopra, con la conseguenza che si rivela percentualmente più pesante per chi guadagna meno, quasi “punendo” chi guadagna di più.

La tentazione di eliminare il bonus Renzi esiste da anni ed è legata principalmente al suo nome. Gli avversari dell’ex premier, oggi molto numerosi e agguerriti nel suo ex partito (PD), vi vedono il lascito di un’esperienza di governo da cancellare dalla memoria storica nazionale. Se si chiamasse bonus Peppa Pig, probabilmente lo lascerebbero in pace. Ad ogni modo, una riforma radicale dall’oggi al domani ci sentiamo di escluderla per ragioni di consenso. E certamente non verrà alla vigilia delle elezioni politiche.

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