Il board della BCE si riunisce oggi per la penultima volta quest’anno, la prima dalle dimissioni annunciate del governatore tedesco Jens Weidmann, il quale rimarrà in carica fino alla fine del 2021. Sarà uno degli incontri più complicati per Francoforte, alle prese con due opposte esigenze: continuare a garantire sostegno alla ripresa dell’economia nell’Eurozona e tenere sotto controllo l’inflazione. Quest’ultima è salita al 3,4% a settembre, ben oltre il target del 2% dell’istituto.

Già al board BCE di settembre, gli acquisti dei bond con il PEPP erano stati rallentati dagli oltre 80 miliardi di euro mensili a cui erano arrivati in estate.

Tuttavia, l’entità del programma da 1.850 miliardi non era stata scalfita, così come la durata fino al marzo 2022. Ma con i prezzi al consumo in forte rialzo, trainati dal boom di diverse materie prime, tra cui petrolio e gas, i “falchi” hanno sempre più forti argomentazioni a favore della loro richiesta di avvio immediato del “tapering”.

Tanto più che le stesse aspettative d’inflazione starebbero surriscaldandosi, come segnalano gli swap 5y5y forward. Si tratta di contratti che misurano le aspettative d’inflazione a 5 anni tra 5 anni. In sostanza, cosa prevede il mercato nel 2026 per il periodo compreso tra il 2026 e il 2031. Il dato, monitorato con attenzione dalla BCE per scrutare il possibile andamento dei prezzi nel medio-lungo termine, è salito sopra il 2% questa settimana, ai massimi dal settembre 2014 e sopra il target BCE.

Board BCE, PEPP non spacciato

Del resto, il ragionamento dei “falchi” non sembrerebbe fare una piega: se l’emergenza pandemica sembra alle spalle, almeno nella sua fase più acuta, che senso ha continuare a portare avanti il PEPP? Inoltre, la Federal Reserve sarebbe prossima al taglio degli acquisti di bond americani e un’eccessiva divergenza monetaria tra le due sponde dell’Atlantico danneggerebbe il cambio euro-dollaro, gonfiando ulteriormente i prezzi dei beni importati.

Ma a questo board BCE il PEPP sembra tutt’altro che spacciato. Austria e Belgio stanno reintroducendo alcune restrizioni per via della recrudescenza del Covid. Di “lockdown” non se ne parla, almeno per le prossime settimane, ma sarebbe quanto basta per indurre la BCE a una maggiore prudenza prima di avviarsi a mettere in soffitto il PEPP sin d’ora. Anche perché contagi e morti stanno salendo un po’ dappertutto in Europa, ad eccezione dell’Italia. Eventuali misure restrittive alla libertà di movimento rallenterebbero la ripresa o finirebbero per spegnerla, al contempo innalzando il fabbisogno degli stati.

Ed ecco che avanza l’ipotesi, per il momento minoritaria, di estendere la durata del PEPP per sei mesi, anziché cessarne gli acquisti a marzo per potenziare successivamente quelli condotti con il “quantitative easing”. Una novità che non arriverebbe quasi certamente oggi, semmai al board BCE di dicembre, quando il quadro pandemico per quest’inverno sarà verosimilmente più chiaro. Comunque sia, il governatore Christine Lagarde potrà proseguire con la narrazione della transitorietà dell’inflazione. Weidmann sembra destinato a lasciare la Bundesbank senza avere incassato il risultato a cui tanto terrebbe: l’avvio del “tapering”.

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