“Sono arrivato alla conclusione che più di 10 anni siano il giusto lasso di tempo per voltare pagina, per la Bundesbank e anche per me personalmente”. Con questo tweet, il banchiere centrale tedesco Jens Weidmann ha comunicato le sue dimissioni l’altro ieri. Un gesto inaspettato e che rinfocola inevitabilmente le polemiche attorno alla politica monetaria seguita dalla BCE in questa fase.

Chi è Weidmann? 53 anni, a capo della Bundesbank dalla primavera del 2011. Il suo insediamento come governatore tedesco coincide con l’avvio della crisi dello spread in Italia.

L’uomo succedette al tempo ad Axel Weber, che si era dimesso dall’incarico in polemica con gli acquisti di bond da parte della BCE attraverso il cosiddetto “Securities Markets Program”. Così, l’allora governatore francese Jean-Claude Trichet intese contenere i rendimenti dei PIIGS, cioè degli stati in preda con la rispettiva crisi del debito. Qualche mese dopo arrivarono le dimissioni di un altro tedesco, il capo-economista Juergen Stark e sempre in polemica con la linea di Francoforte.

Siamo solo agli inizi di una lunga fase di opposizione della Bundesbank rispetto alla linea ufficiale della BCE. Nel 2014-2015, Weidmann guidò il fronte dei contrari all’azzeramento dei tassi prima e dei tassi negativi dopo, così come del varo del “quantitative easing”. Ottenne condizioni stringenti circa gli acquisti di bond realizzati con il programma, ma nei fatti non riuscì a imporre la sua linea. Un paio di mesi prima della scadenza del mandato di Mario Draghi, lascia in anticipo la sua carica anche il consigliere esecutivo del board, la tedesca Sabine Lautenschlaeger. E anche in questo caso, i giornali parlarono di contrarietà della donna all’estremo accomodamento monetario dell’istituto.

Dimissioni Weidmann spia malessere in BCE

Il resto è cronaca. Con la pandemia, le distanze tra Bundesbank e BCE si riducono sulla comune necessità di lottare le gravi conseguenze che il Covid ha provocato alle economie dell’area.

Negli ultimi mesi, però, la musica cambia. L’inflazione torna a salire nell’Eurozona e supera il 4% in Germania. La Bundesbank lancia diversi allarmi sul rischio di instabilità dei prezzi, nessuno dei quali colto da Christine Lagarde e i suoi uomini, tutti schierati a difesa dei maxi-stimoli varati per salvare i conti pubblici degli stati fiscalmente meno solidi. E non è un caso che prima di fare i bagagli, Weidmann abbia consigliato per l’ultima volta ai suoi colleghi della BCE di non guardare con apprensione solo al rischio di deflazione, ma anche a quello d’inflazione.

Sapremo forse più in là le vere ragioni delle dimissioni. Di certo, va via un fiero avversario di Draghi e della mutazione genetica subita dalla BCE con il suo mandato. Per l’Italia, contrariamente alle apparenze, non è una buona notizia. Anzitutto, perché dopo Weidmann non arriverà certo una “colomba” alla guida della Bundesbank ed è probabile che il successore cerchi di mettersi in mostra opponendosi ancora più strenuamente e vocalmente agli stimoli monetari. Inoltre, questo gesto sarebbe la spia di quell’estrema insoddisfazione che serpeggia nel Nord Europa, dove si teme che la BCE stia monetizzando i debiti sovrani del Sud, a dispetto del suo mandato sull’inflazione. E il tedesco avrebbe lasciato per non metterci più la faccia in Germania, dove monta la rabbia tra l’opinione pubblica per i rincari sempre più vistosi dopo la pandemia.

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