Sembrava caduto nell’oblio dopo avere subito un tracollo impressionante rispetto ai massimi storici toccati meno di due anni fa. E c’è da dire che ancora oggi le quotazioni sono meno della metà dei livelli record del novembre 2021. Tuttavia, la risalita c’è stata e quasi nel silenzio generale. Concentrati come siamo a seguire l’andamento del mercato obbligazionario dopo anni di rendimenti negativi, in molti tra noi hanno ignorato che la quotazione in dollari di Bitcoin ha segnato un rialzo dell’80% quest’anno.

Il 2023 si apriva a circa 15.500 e la scorsa settimana saliva fin sopra 30.000 dollari, salvo arretrare sotto tale soglia successivamente.

Dopo un boom del genere, difficilmente di solito si pensa di entrare sul mercato. Ma le “criptovalute” ci insegnano che le valutazioni si differenziano da quelle che si effettuano per gli asset tradizionali. Ci sono svariate ragioni tecniche e normative dietro ai boom e ai crolli di questo mercato negli anni. Ed è per queste stesse ragioni che Bitcoin può segnare ulteriori rialzi cospicui nei prossimi mesi.

Possibile primo Etf in Bitcoin negli USA

Una di queste si chiama SEC. La Securities and Exchange Commission, praticamente la Consob americana, al massimo entro i primi di gennaio dovrebbe avallare la nascita del primo Etf in Bitcoin. La Corte di Appello degli Stati Uniti ha riconosciuto a Greyscale il diritto di convertirsi in un Etf. Il fondo è detenuto anche da Coinbase. Se la SEC decidesse effettivamente a favore di un Etf in Bitcoin, cambierebbe molto in meglio per la valuta digitale. In primis, fioccherebbe molta più liquidità a favore di questo mercato. Gli Etf sono fondi a gestione passiva, che consentono agli investitori di puntare su un asset senza detenerlo direttamente.

Secondariamente, il via libera all’Etf sarebbe il riconoscimento implicito dei Bitcoin da parte della legislazione americana. Ricordiamo che uno dei principali rischi per questo asset è di natura legale.

La più importante “criptovaluta” non ha ottenuto ancora un riconoscimento pieno in nessuna grande legislazione mondiale e incombe su di essa sempre lo spettro di una decisione ostile da parte dei governi e delle autorità finanziarie. Tutto cambierebbe se la prima economia mondiale decidesse nei fatti di riconoscere Bitcoin come un investimento al pari degli altri. I “puristi” paventano il rischio, però, di regolamentare un asset nato contro ogni forma di regolamentazione e per sua natura decentralizzato.

Attesa per halving nel 2024

Non è solo la SEC a poter rinvigorire il rally. Nel 2024 si avrà il prossimo halving. In pratica, i cosiddetti “miners”, cioè coloro che “estraggono” Bitcoin grazie a complessi calcoli matematici, sono remunerati con il rilascio in loro favore di una certa quantità di moneta digitale. Ogni circa quattro anni, tale quantità si dimezza. Ciò riduce il ritmo di crescita dell’offerta in circolazione e si nota che ogni volta che ciò accade, le quotazioni tendono a crescere anche vertiginosamente. L’ultima volta è accaduto nel 2020. Il prezzo è esploso in appena un anno e mezzo da circa 8.000 a 69.000 dollari.

Bitcoin al test dei rendimenti obbligazionari

Esiste anche qualche ragione per restare cauti. Bitcoin e, in generale, il mondo delle “criptovalute”, ha beneficiato negli anni passati della liquidità abbondante e a bassissimo costo sui mercati. Il boom dei rendimenti ha posto fine a quell’era. Non dobbiamo ignorare il fatto che Bitcoin nacque all’indomani della crisi finanziaria del 2008, forse una reazione alle stamperie delle banche centrali. In teoria, l’aumento dei tassi riduce l’appetito per il rischio e fa venire meno l’impulso a puntare su questo nuovo genere di asset. D’altra parte, se è vero che staremmo toccando l’apice dei tassi, la liquidità nel medio termine dovrebbe risalire. E con essa la domanda per le monete digitali.

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