Tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini si è consumato uno strappo molto pesante, sebbene i due leader evitino di parlare di rottura e il primo ribadisca che “il centro-destra ci sarà sempre”, cercando così di spegnere sul nascere le voci di dissoluzione della coalizione. Ma sul nome di Marcello Foa alla presidenza della Rai volano gli stracci tra Lega e Forza Italia. Quest’ultima ha confermato la sua opposizione nel caso in cui l’alleato insistesse a riproporre la firma de Il Giornale.

“Questione di metodo”, sostengono gli azzurri, che parlano di mancato coinvolgimento delle opposizioni nell’individuazione del candidato da eleggere a capo della TV pubblica. In realtà, sotto sotto cova il disegno revanchista di Antonio Tajani, fresco di nomina come numero due di Forza Italia, il quale punterebbe a sganciare il suo partito dal “sovranista” Salvini per schierarlo a fianco del PD in un’opposizione dura al governo giallo-verde. Obiettivo? Restare alla presidenza dell’Europarlamento anche dopo le elezioni europee del maggio 2019, grazie alla benedizione della cancelliera Angela Merkel, altra leader nel pieno del suo declino in patria e all’estero. Non dimentichiamoci, ad esempio, che nel gennaio dello scorso anno, Tajani fu eletto presidente dell’assemblea di Strasburgo senza i voti della Lega, ottenendo persino quelli, invece, del Fronte Nazionale di Marine Le Pen.

Presidenza Rai, perché Salvini deve difendere Foa dal colpo di coda di Berlusconi

A questo punto, Salvini sta tenendo duro e di indietreggiare sul nome di Foa non ne vuole sentire. Ed ecco quali sarebbero le tre mosse, che spiazzerebbero Berlusconi e accelererebbero il suo già evidente stato di declino politico. La prima riguarda proprio la presidenza della Rai: non mollare su Foa. In questo modo, Forza Italia verrà esposta agli umori inferociti della sua stessa base, alla quale non è andata giù perlopiù che il partito abbia fatto opposizione a un nome condivisibile sotto il profilo culturale.

Gli stessi parlamentari azzurri sarebbero costretti a schierarsi pro o contro Foa in maniera limpida, se il governo decidesse di non proporre un nome alternativo. Ed ecco che qui arriverebbe la seconda mossa fatale per l’ex premier, appena anticipata da Salvini, il quale ha spiegato nelle scorse ore che non si opporrà più a quanti, eletti in Parlamento con Forza Italia, volessero uscire per aderire alla Lega.

“Finora ho detto di no, ma se Forza Italia sceglie il PD, è giusto che chi si sente di centro-destra possa chiedere di venire nella Lega”. Insomma, Salvini punta a svuotare Berlusconi delle sue truppe parlamentari. Parliamo di un potenziale di 105 deputati e 61 senatori. Con Forza Italia ad attestarsi intorno al 7-8% nei sondaggi, decine di suoi parlamentari farebbero volentieri le valigie nelle prossime settimane, fiutando il rischio di non venire rieletti alle prossime elezioni. Se il vice-premier e ministro dell’Interno spalancasse loro le porte della Lega e se facesse un appello esplicito a scegliere tra PD e centro-destra, in tanti seguirebbero. Il caso di Alessandra Mussolini, che ha appena lasciato il gruppo azzurro, sarebbe indicativo della forza di attrazione che Salvini avrebbe su buona parte del partito alleato.

Berlusconi accelera la sua fine politica

Infine, l’annoso conflitto di interessi. Il Movimento 5 Stelle propende per regole più stringenti per gli eletti e gli amministratori pubblici in possesso di quote rilevanti in società o concessionari di licenze rilasciate dallo stato. Il caso Berlusconi cade a fagiolo, ma il vero rischio per l’ex premier riguarda la volontà del ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, di imporre un tetto più basso per la raccolta pubblicitaria massima di ciascuna rete televisiva. Mediaset detiene i due terzi del mercato pubblicitario italiano, difficile che riesca a sfangare eventuali restrizioni.

E se il governo giallo-verde decidesse di vendere una delle principali reti pubbliche? A quel punto, il sistema radio-televisivo così com’è non si reggerebbe più. Se la Rai dovesse rinunciare al terzo canale, Cologno Monzese dovrebbe cedere Rete 4. Se ne parla da decenni, ma nessun governo ha mai voluto affrontare la questione politicamente scottante. Con Salvini alleato, Berlusconi può continuare a stare tranquillo. Non lo stesso dicasi se i due iniziassero davvero a contrastarsi. La difesa d’ufficio del leghista su Mediaset al Consiglio dei ministri verrebbe meno e gli interessi aziendali del Cavaliere verrebbero esposti ai soli umori pentastellati.

8 per mille alla Chiesa, come Salvini punirebbe i vescovi CEI pro-migranti

Berlusconi ritiene che il “redde rationem” con la Lega non sia probabile, in quanto Salvini rischierebbe di mandare in crisi numerose amministrazioni locali e regionali del nord, dove sta in maggioranza con Forza Italia. Vero solo in parte. Se oggi si tornasse a votare in questi stessi comuni e regioni a guida centro-destra, la Lega farebbe il pieno di consensi, Forza Italia quasi sparirebbe e non avrebbe più la gestione del potere nella parte più ricca d’Italia, quando già versa in uno stato comatoso anche nel resto dello Stivale, per non parlare sul piano nazionale. In fondo, l’unica regione azzurra è quella del governatore Giovanni Toti, alleato di ferro di Salvini e che nei giorni scorsi ha radunato decine di esponenti liguri del centro-destra per lanciare un suo soggetto politico “civico”, ma che a tutti è parso una sorta di listone in cui raccogliere i malpancisti forzisti, quelli che tra qualche settimana o mese al massimo direbbero volentieri addio a un Berlusconi schierato ormai mani e piedi con il PD renziano.

Si tenga conto che tra poco più di 9 mesi si vota per l’Europarlamento e numerosi dirigenti di Forza Italia potrebbero transitare nella Lega per essere (ri-)eletti a Strasburgo, specie nelle aree del Meridione, dove il Carroccio è in forte crescita e i berlusconiani non mostrano sostanziali segni di vita.

Prima ancora si andrà a votare in questo autunno in Basilicata e Abruzzo, dove potremmo assistere all’esperimento inedito di un’alleanza già alle urne tra Lega e Movimento 5 Stelle. Per Berlusconi sarebbe un segnale devastante, la prova che Salvini non avrebbe alcuna intenzione più di scendere a patti con lui nemmeno nelle aree in cui elettoralmente sarebbe meno forte. Il caso Foa rischia di essere tombale per l’ex premier, al pari della mozione di sfiducia presentata da Gianfranco Fini contro il suo stesso governo nel dicembre 2010 o della fondazione di Nuovo Centro-Destra da parte di Angelino Alfano. Berlusconi sta andando contro gli umori di larghissima parte del suo stesso elettorato, con cui sta di fatto firmando le pratiche per il divorzio, ponendo mestamente fine come un Alfano o un Fini qualunque alla sua mirabile carriera politica, iniziata nel lontano 1994 e che è giunta realmente al capolinea in quel maledetto novembre 2011, quando fu costretto alle dimissioni per la furente crisi dello spread e iniziò a coltivare sogni di intesa con il nemico di sempre: il PD.

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