Sono passati ventuno mesi dall’inizio dell’occupazione russa in Ucraina. Una guerra che ha sconvolto il pianeta, soprattutto l’Europa e le sue relazioni diplomatiche e commerciali. A seguito dell’invasione, Stati Uniti e Unione Europea decisero di “congelare” circa 300 miliardi di dollari delle riserve valutarie russe, qualcosa come quasi la metà del totale. Di queste, intorno ai 220 miliardi (220 miliardi di euro) si trovano in Europa. Tra tutte le sanzioni comminate contro Mosca, forse questa ha avuto il maggiore impatto.

Da un giorno all’altro, Vladimir Putin si è ritrovato con poco più della metà dei dollari che aveva in cassa. Ha così avuto a disposizione minori risorse non solo per finanziare la guerra, ma anche per consentire all’economia domestica di reggere all’onda d’urto delle sanzioni occidentali.

Riserve russe per ricostruire l’Ucraina

Da qualche tempo, sia a Bruxelles che a Washington si è aperto un dibattito circa l’uso di tali riserve russe. Poiché la Russia è responsabile della distruzione dell’Ucraina, la cui ricostruzione si stima che costerà non meno di 700 miliardi di dollari, avanza l’idea che questa venga finanziata attraverso l’uso di tali risorse “congelate”. Due le ipotesi: la più ardita consisterebbe nell’espropriare definitivamente la Russia di tali riserve per pagare i costi della ricostruzione; la più soft sarebbe di impiegare a tale fine soltanto gli utili ricavati da tali asset. In questo secondo caso, però, le risorse a disposizione risulterebbero più limitate.

BCE teme per reputazione dell’euro

Nelle scorse ore, ha detto la sua a tale proposito il numero due della Banca Centrale Europea, lo spagnolo Luis de Guindos. Nel corso di un’intervista a due quotidiani belgi, il banchiere ha espresso contrarietà all’ipotesi allo studio di Bruxelles. Egli ha invitato a guardare al conflitto non isolatamente dal contesto e a considerare le conseguenze di lungo periodo di una simile decisione.

Ha ammesso, infatti, che l’uso delle riserve russe intaccherebbe la “reputazione dell’euro” in qualità di “safe currency”, cioè di moneta sicura e rifugio contro le tensioni internazionali.

Lo spagnolo ritiene che una tale decisione debba essere eventualmente adottata dal G7 e non soltanto dall’Unione Europea. In altre parole, o tutti ci mettono la faccia e si assumono i rischi o meglio astenersi dall’assumere iniziative che mettano a repentaglio la reputazione dell’euro. Quando esplose il conflitto e l’Occidente decise di sottrarre le riserve valutarie depositate presso di esso alla disponibilità della Russia, fummo facili profeti nell’avvertire che tale misura avrebbe avuto implicazioni negative sull’affidabilità percepita di Europa e Stati Uniti.

Piani di dedollarizzazione in Asia

Queste due aree del mondo dispongono di scarse materie prime, ma hanno il vantaggio di essere considerate massimamente affidabili per i detentori dei capitali di tutto il mondo. Puoi essere anche nemico dell’Occidente, ma questi storicamente non chiude le porte ai tuoi investimenti e li tratta al pari di tutti gli altri. “Pecunia non olet”, volendo sintetizzare la nostra mentalità politica. Con il “congelamento” delle riserve russe, qualcosa è cambiato. Il mondo ha appreso che se finisci nella lista nera di Stati Uniti o Europa per un qualsiasi motivo, rischi di perdere i capitali che lì hai investito.

Questa è stata la premessa che ha portato negli ultimi tempi ad accelerare in Asia il dibattito sulla dedollarizzazione, ovvero sulla necessità di sganciarsi dalla sfera d’influenza finanziaria gravitante attorno al dollaro. Le conseguenze ad oggi rimangono impercettibili, perché non esiste un’alternativa credibile al dollaro e alla finanza americana. Nel lungo periodo, però, potrebbe non essere così. E sul caso Russia l’Occidente sta prestando il fianco proprio ai suoi “nemici”, rivelandosi meno “rules-based” del previsto.

Ricordiamoci che la gran parte del pianeta vive in paesi non allineati o apertamente ostili a noi.

Euro ambisce ad essere safe currency

La BCE ha capito di potersi permettere ancora meno degli Stati Uniti di minacciare la reputazione dell’euro. Se i capitali di Asia e Sud America (e in futuro magari dall’Africa) smettessero di affluire nel Vecchio Continente, a rimetterci saremmo noi. L’euro nacque con l’ambizione di affiancare il dollaro come “safe currency”, riflettendo la seconda area più ricca del pianeta. L’operazione ad oggi è riuscita a metà, complice la struttura inefficiente dell’unione monetaria. Ma tutto possiamo fare, fuorché scoraggiare gli investitori non occidentali dal portare i loro capitali da noi. Avremmo maggiori costi di indebitamento e minori prospettive di crescita per l’economia in generale. Insomma, diventeremmo relativamente più poveri. E allora sì che sarebbe una vittoria per Russia e suoi alleati.

[email protected]