Tanto tuonò che piovve. Il Superbonus 110 non scompare, anzi per certi versi è stato reso strutturale dal governo Meloni. Ma non sarà più possibile per gli italiani realizzare lavori di ristrutturazione gratis. La felice anomalia che aveva contraddistinto il biennio scorso sta per giungere al termine. Il Consiglio dei ministri di questo giovedì ha deciso che l’aliquota per i lavori di efficientamento energetico sarà abbassata al 90% a partire dall’1 gennaio 2023. I condomini dovranno presentare la CILAS entro il 25 novembre per non perdere il diritto ad accedere all’incentivo con il 110%.

In cambio, le abitazioni unifamiliari avranno tempo fino al 31 marzo prossimo per accedere con il 90%, a patto di avere realizzato entro il 30 settembre scorso almeno il 30% dei lavori.

La premier Giorgia Meloni ha spiegato così il depotenziamento: “costava troppo, favoriva le famiglie più benestanti e distorceva il mercato”. Su una cosa possiamo tutti concordare: se non esiste trattativa tra cliente e ditta sui preventivi presentati, visto che a pagare tutto è lo stato, i prezzi dei lavori volano alle stelle. Il Superbonus 110 è stato, pertanto, al tempo stesso un grosso incentivo all’edilizia e un’enorme distorsione del mercato.

Ma il suo flop dipende anche, se non essenzialmente, da altro. Le banche italiane, che avrebbero dovuto favorire il maxi-incentivo attraverso la cessione del credito, hanno affossato il mercato. L’interesse del 10% supposto dal governo Conte-bis con il varo della manovra non è mai esistito. Per accollarsi le fatture, le banche hanno pretesto interessi finanche del 30-35%. A conti fatti, un interesse annuale del 6-7% senza fare sostanzialmente nulla.

Flop cessione del credito per Superbonus

C’è da dire che dalla loro hanno avuto qualche ragione. Lo stato ha cambiato normativa ogni due e tre. Gli istituti di credito hanno fiutato il rischio, in particolare, di essere considerate corree di eventuali truffe. Hanno così chiuso i cordoni della borsa, giovandosi di un sistema chiuso per la circolazione dei crediti fiscali.

E chissà se sono stati pressati dal governo per far sì che l’accesso al Superbonus 110 fosse quanto più limitato possibile. Lo stato ha temuto che le richieste esplodessero a valori insostenibili per le finanze pubbliche.

Con il decreto di giovedì, il mercato subirà un tracollo verticale. Da un lato si sgonfierà la bolla speculativa che aveva mandato in orbita i prezzi, dall’altro migliaia di aziende rischiano il collasso. Avevano investito tempo e denaro per scommettere su un incentivo statale rivelatosi perlopiù inaccessibile. Lo stato ha perso di credibilità, ma questa non è una novità assoluta nel Bel Paese. Peggio ancora, condomini e abitazioni singole realizzeranno i lavori solo nel caso di effettiva urgenza, volendoli rinviare a tempi migliori con questi prezzi assurdamente elevati. Di fatto, stiamo andando incontro alla recessione pesante di un comparto trainante dell’economia.

Infine, a preoccupare i governi che si sono succeduti in questi due anni e mezzo c’è stata, soprattutto, la circolazione dei crediti fiscali. Un grosso potenziale per l’economia italiana, ma anche il rischio che si creasse una sorta di moneta parallela all’euro. Non a caso il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha voluto chiarire dopo il Cdm che la cessione del credito non può essere pretesa, che “non è moneta”. Da qui all’approvazione del provvedimento, però, sarà battaglia degli operatori del settore, a partire dall’ANCE. Ma difficile che il governo torni sui suoi passi. Il Superbonus, volendo essere sinceri, non è mai decollato sul serio. Il decreto antifrode di un anno fa aveva assestato il primo colpo mortale.

[email protected]