Settimana decisiva alla Banca Centrale Europea (BCE), reduce da una riunione importante di politica monetaria, tenutasi giovedì scorso e che ha prospettato il taglio dei tassi di interesse nell’Eurozona a giugno. Ma i “falchi” capeggiati dalla Bundesbank non si danno per spacciati, perché sono diversi gli strumenti a disposizione di Francoforte per controllare la quantità della liquidità in circolazione e, tramite di essa, l’inflazione nell’area. Ad esempio, da luglio saranno ridotti gli acquisti netti di bond con il Pepp, il programma varato in emergenza contro la pandemia nel marzo 2020 e cessato due anni dopo.

Da luglio, gli acquisti netti saranno scalati di 7,5 miliardi al mese, riducendo le detenzioni dell’istituto. Un’altra possibile misura di natura restrittiva mette in allarme da tempo le banche europee. Dopo il boom dei profitti con l’aumento dei tassi – in certi casi, da record in Italia – le prospettive rischiano di affievolirsi velocemente nei prossimi trimestri.

Banche europee allarmate sulle riserve obbligatorie

Dentro la BCE, c’è chi spinge per aumentare il coefficiente di riserva obbligatoria dall’1% attuale. Pochi mesi fa, il governatore austriaco Robert Holzmann balenò l’ipotesi di aumentarlo al 5-10%. Il collega tedesco Joachim Nagel si disse favorevole a una simile decisione. Ma di cosa parliamo di preciso e perché preoccupa le banche europee? Il coefficiente di riserva obbligatoria è un accantonamento imposto dalla banca centrale agli istituti di credito in base a certe passività. Nel caso della BCE, l’imposizione riguarda i depositi vincolati fino a 2 anni, quelli di durata fino a 2 anni smobilizzabili con preavviso, obbligazioni bancarie fino a 2 anni, ecc.

Fino al 2011, le banche europee erano tenute a detenere almeno il 2% delle proprie passività presso la BCE in qualità di riserve minime obbligatorie. Dal 2012, quella percentuale è stata ridotta all’1%. Da luglio dello scorso anno, poi, l’Eurotower ha smesso di remunerare tali riserve per attutire il colpo al proprio bilancio derivante dall’aumento dei tassi.

Allo stato attuale, gli accantonamenti coattivi riguardano un ammontare complessivo di 161,35 miliardi di euro nell’intera Eurozona. Oggi, il Consiglio dei Governatori ha deciso di lasciare invariato quel coefficiente, facendo tirare un sospiro di sollievo alle banche dell’area. Almeno, temporaneamente. Non è detto che il discorso si sia chiuso una volta per tutte.

Il concetto di moltiplicatore bancario

Per le banche europee il coefficiente di riserva obbligatoria si traduce in minore liquidità da investire, cioè in margini d’interesse mancati. Elevarne la percentuale implica per esse subire un calo di tali margini di profitto, in una fase già che tende ad andare in quella direzione per il tramite del taglio dei tassi. Poiché, poi, le riserve obbligatorie non vengono più remunerate dalla BCE, raddoppiarne il coefficiente ai tassi attuali equivarrebbe a minori guadagni per circa 7 miliardi. E per l’economia andrebbe anche peggio. Famiglie e imprese riceverebbero minori prestiti. In economia si parla spesso del famoso “moltiplicatore bancario”. In estrema sintesi, il credito complessivo è legato alla quantità dei depositi al netto delle riserve. Per esempio, a fronte di 1 milione di euro depositati e di riserve accantonate per il 20%, una banca sarebbe capace di erogare prestiti per un massimo di 5 milioni.

Rischio credit crunch

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Rischio credit crunch

Dunque, il rischio di “credit crunch” esiste per il caso in cui effettivamente la BCE dovesse prendere in considerazione e approvare la proposta dei cosiddetti “falchi”. Passare dall’1% al 5 o 10% sarebbe uno shock per l’economia, anche se non sembra che le cose andranno così. Le banche europee stanno facendo forti pressioni per convincere il board a desistere da una simile scelta. Lo stesso Nord Europa appare diviso, se è vero che il belga Pierre Wunsch ritiene di non vedere “solide ragioni” per propendere per un aumento delle riserve minime.

E, in effetti, ieri Bloomberg sosteneva che dentro la BCE i “falchi” non starebbero guadagnando terreno su questo tema. Molto probabile che le riserve obbligatorie restino fissate all’1%. Certo, la percentuale rappresenta il prosieguo di quell’eccezionalità iniziata oltre una dozzina di anni fa con la crisi dei debiti sovrani. Pensate che ai tempi della lira, Banca d’Italia imponeva anche il 20% sulle banche italiane. Il passaggio all’euro ha comportato al nostro Paese una drastica liberazione teorica di liquidità a favore del credito. Chiaramente, le banche europee possono liberamente decidere di accantonare riserve extra. Cosa che accade regolarmente in base alla necessità di coprire i rischi dell’attività creditizia.

Banche europee, differenze tra Nord e Sud Europa

Le riserve obbligatorie non fungono solamente da strumento di politica monetaria, in quanto essenzialmente servirebbero a preservare i risparmiatori dal rischio di liquidità e almeno in parte dai casi di insolvenza. Le banche europee ancora posseggono 3.500 miliardi di depositi in eccesso depositati presso la BCE. Questo significa che un eventuale aumento delle riserve obbligatorie porterebbe più a un calo dei profitti bancari che a una contrazione del credito nell’immediato. Ovviamente, molto varierebbe da stato in stato. L’eccesso di liquidità si concentra quasi interamente nel Nord Europa. Nel Sud Europa, invece, qualsiasi misura che intacchi la quantità dei depositi obbligatori può portare a una minore erogazione del credito a famiglie e imprese. L’opposto di quel che serve in questa parte del continente.

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