L’inflazione nell’Eurozona resta oltre il doppio del target fissato dalla Banca Centrale Europea (BCE), a cui non vi tenderebbe nemmeno nel 2024 e forse in gran parte del 2025. I tassi di interesse sono stati portati in appena quattordici mesi da 0 al 4,50%, mai un aumento così rapido nella storia dell’euro. La politica monetaria sembra già sufficientemente restrittiva, sebbene potranno servire ulteriori misure per battere il carovita e “raffreddare” le aspettative future. Anziché continuare a battere la strada degli aumenti dei tassi, ecco spuntare per via ufficiosa qualche alternativa.

Il governatore centrale lettone Martins Kazaks ha prospettato ieri la chiusura definitiva del PEPP e persino l’aumento delle riserve obbligatorie delle banche commerciali nell’area.

Andiamo con ordine. Kazaks fa parte dei cosiddetti “falchi” nel board della BCE, cioè propende per una politica monetaria tendenzialmente restrittiva. Nello specifico, tuttavia, crede che i tassi di interesse siano arrivati al loro livello massimo e saranno capaci di riportare l’inflazione al target entro il 2025. Non esclude, comunque, un loro ulteriore aumento “strada facendo”. Ad ogni modo, ritiene che allo stato attuale l’istituto debba cessare i riacquisti dei bond in scadenza con il PEPP.

Fine anticipata per riacquisti bond

Il PEPP è un programma monetaria da 1.700 miliardi di euro. Fu iniziato nel marzo 2020 per reagire alla pandemia e cessò esattamente due anni più tardi. Da allora, la BCE si è impegnata a riacquistare i bond in scadenza fino a tutto il 2024. In questo modo, tiene invariata la liquidità del portafoglio. Ora che l’inflazione è alta e serve, anzi, che la liquidità sui mercati si riduca, in tanti pensano a Francoforte che sarebbe più appropriato cessare i reinvestimenti, anziché continuare ad aumentare il costo del denaro.

Per l’Italia una soluzione simile significherebbe privarsi di una media di 3/4 miliardi di euro di domanda al mese per i BTp.

In sostanza, crescerebbe la pressione su tutti i bond nell’Eurozona, specie su quelli italiani. A differenza del Quantitative Easing, infatti, il PEPP è stato e resta flessibile nella conduzione degli acquisti. La BCE può concentrarli a favore degli stati più in difficoltà, una sorta di prima linea di difesa dagli spread. Cessando i riacquisti, tale flessibilità verrebbe meno, sebbene la stessa BCE possa sempre continuare, a saldi complessivi in calo, ad acquistare BTp per restringerne gli spread.

Alle banche maggiore liquidità senza interessi

Sul punto Kazaks ha spiegato di non essere preoccupato dei costi di indebitamento dell’Italia, i quali rifletterebbero perlopiù i timori dei mercati per la situazione fiscale. Ha altresì aggiunto che esisterebbe un’altra via per restringere le condizioni monetarie senza passare dai tassi: aumentare le riserve obbligatorie delle banche. Si tratta della quota dei depositi dei clienti che gli istituti devono obbligatoriamente trasferire presso Francoforte senza ricevere su di essa alcun interesse. Un modo per garantire sufficiente liquidità disponibile per l’operatività degli istituti.

Per le banche le riserve obbligatorie sono un costo, nel senso che rappresentano una quota di risparmi dei clienti che non possono mettere a frutto. D’altra parte, il coefficiente imposto dalla BCE è appena dell’1%. Pensate che ai tempi della lira la Banca d’Italia imponeva finanche il 20%. Di aumentare tale percentuale se ne parla a Francoforte a porte chiuse da questa estate. Una siffatta misura farebbe indirettamente forse felici i risparmiatori. La loro liquidità diverrebbe più preziosa e inizierebbe finalmente ad essere meglio remunerata. Ma ci sarebbero minori prestiti a favore di famiglie e imprese, con il rischio di acuire il famoso “credit crunch”.

PEPP e riserve obbligatorie, nuova stretta in arrivo

Cessazione dei riacquisti con il PEPP e aumento delle riserve obbligatorie nel complesso aumenterebbero i rendimenti sovrani senza che vi fosse la necessità di un ennesimo aumento ufficiale dei tassi.

Si tratterebbe pur sempre di una stretta monetaria. Ieri, il dato sull’inflazione negli Stati Uniti ha accresciuto le probabilità di un ultimo rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve. A soffrirne è stato il cambio euro-dollaro, ma la pressione cresce anche sulla BCE e va nella direzione di restringere ulteriormente le condizioni monetarie.

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