Il tracollo in borsa è arrivato inatteso giovedì 7 marzo, giorno in cui l’amministratore delegato Pietro Labriola presentava il nuovo piano industriali “Liberi di correre”. A fine seduta il bilancio è pesante: -24% per le azioni Tim. Nei giorni successivi, tra tentativi di lieve recupero e ulteriori cadute, la situazione non sarebbe migliorata, se non marginalmente. Il titolo valeva 28 centesimi il 6 marzo scorso e chiudeva questa settimana a 22 centesimi. La Consob ha acceso nel frattempo i fari per capire cosa abbia provocato perdite così imponenti in breve tempo e, fino ad un certo punto, inspiegabili.

Di mano è passato poco meno della metà del capitale in poche sedute. Un fatto di dimensioni eccezionali. E la vicenda coinvolge un asset strategico, quale l’infrastruttura su cui si basa il sistema delle telecomunicazioni in Italia. Ma vediamo di preciso di ricostruire quanto accaduto.

Azioni Tim in caduta libera sul piano Labriola

Dicevamo, giovedì 7 Labriola presenta il piano industriale con annessi numeri. Il debito netto pro-forma è atteso in crescita a 7,5 miliardi di euro alla fine di quest’anno. Era di 6,1 miliardi al 31 dicembre scorso. Gli analisti si aspettavano un dato inferiore per 1 miliardo. Ma questi numeri sono arrivati solo all’inizio di questa settimana, perché in prima battuta il manager si era limitato ad indicare un rapporto tra debito ed Ebitda di 1,6-1,7 al 2026.

Quanto ai flussi di cassa netti, attesi a zero per quest’anno e a +500 milioni nel 2026. Se normalizzati, salirebbero rispettivamente a 400 e 800 milioni. Il giorno dopo la presentazione del piano, Vivendi annunciava di avere svalutato la sua partecipazione del 23,75% per altri 1,34 miliardi di euro, all’incirca la stessa cifra di un anno fa. E ciò, a seguito della chiusura del bilancio 2023 della compagnia italiana in passivo per 1,441 miliardi. Dalla fine del 2022, tratta la quota secondo il criterio della valutazione di mercato e non più del patrimonio netto.

Non certo un segnale di fiducia per le azioni Tim. Tant’è che, in un primo momento, si era speculato che fossero stati proprio i francesi a vendere.

Crollo azioni Tim in borsa

Crollo azioni Tim in borsa © Licenza Creative Commons

La pista di Londra sul crollo in borsa

Ad oggi, non risulta alla Consob che i soci stabili abbiano variato in misura degna nota le proprie detenzioni. Ed è un mistero, a questo punto, chi abbia venduto e per quali motivi. Questa settimana, ad esempio, mentre il titolo cercava e riusciva a centrare un piccolo rimbalzo in apertura di seduta, si è notato che, in coincidenza con l’apertura della Borsa di Londra, le vendite tornavano a prevalere e ad affossare le azioni Tim. Ciò avrebbe acceso i riflettori sul fondo Mervyn, contrario alla cessione della rete e che aveva presentato un piano alternativo. Punterebbe a presentare anche una sua lista per la prossima assemblea degli azionisti del 23 aprile. E Vivendi potrebbe appoggiarla, pur di non concedere il bis a Labriola.

Mervyn deterrebbe una partecipazione minima, ma lo statuto gli consentirebbe di candidare propri uomini per il Cda anche con lo 0,50%. Fatto sta che la capitalizzazione in borsa è scesa per la compagnia sotto i 5 miliardi. Un dato sconcertante, anche ammesso che si abbiano riserve sulla cessione di NetCo, la società a capo della rete. Pensate che la sola partecipazione di controllo in Tim Brasil vale ai prezzi e cambio attuali tra 5,5 e 6 miliardi. In pratica, l’italiana viene valutata in borsa un miliardo in meno del suo principale asset detenuto.

Nodo cessione rete Tim

Nodo cessione rete Tim © Licenza Creative Commons

Cessione della rete divide Vivendi da Labriola

L’ipotesi che si è fatta strada tra gli analisti del settore è che le vendite copiose e in un lasso di tempo limitatissimo puntino a screditare il piano di Labriola per fare saltare la cessione della rete.

A chi giova? A Vivendi. Spese 4 miliardi nel 2015 per rastrellare le azioni Tim. Oggi come oggi, la sua partecipazione vale intorno a 1,2 miliardi. Per cercare di recuperare le perdite, i francesi avevano preteso che la rete fosse venduta al fondo americano Kkr per 31 miliardi, inclusi 10 di debiti. L’operazione è stata accettata dalla compagnia per 22 miliardi, inclusi i 2 miliardi dell’earn-out. I debiti sarebbero ridotti in capo a ciò che rimarrebbe di Tim per 14 miliardi.

Il Tesoro è artefice di questa operazione. Persegue da anni lo scorporo della rete, al fine di integrarla con Open Fiber, società controllata dallo stato attraverso Cassa depositi e prestiti al 60%. Un asset strategico tornerebbe in mani pubbliche e si avrebbe un unico soggetto per l’infrastruttura domestica, a beneficio dell’efficienza. Ma senza rete, Tim perderebbe la gallina dalle uova d’oro. E Vivendi l’aveva acquistata proprio per questo.

Fusione tra Fastweb e Vodafone Italia

Fusione tra Fastweb e Vodafone Italia © Licenza Creative Commons

Fastweb-Vodafone Italia verso la fusione

Non è l’unica ragione alla base del crollo delle azioni Tim. Nei giorni scorsi, Swisscom ha annunciato la stipulazione di accordi vincolanti con Vodafone Italia per rilevarne le attività nel nostro Paese per 8 miliardi. L’operazione darebbe il via all’integrazione con la controllata Fastweb. Nascerebbe un grosso operatore mobile e di rete fissa, tra l’altro fortemente competitivo sul segmento Enterprise. E Labriola riportava un balzo dei ricavi proprio in quest’area. Praticamente, la compagnia italiana rischia non solo di ritrovarsi senza rete, ma anche di competere (alla pari) con avversari più forti e temibili laddove c’è ciccia per gli utili.

Azioni Tim giù, l’avvertimento del governo

Commentando l’accaduto, la premier Giorgia Meloni si è limitata ad affermare che il tema sia “complesso”. Il suo ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, ha fatto presente che il closing della cessione della rete avverrà entro l’estate, come previsto.

E ci ha tenuto a inviare un segnale a Vivendi, pur indirettamente, quando ha ricordato che il governo detiene la “golden power”, cioè l’ultima parola per impedire che nel capitale faccia ingresso un socio sgradito. Come per mettere in guardia i francesi che, se intendessero utilizzare fondi stranieri come cavallo di Troia, si ritroverebbero a fare i conti con Roma. E sinora la loro campagna d’Italia, tra azioni Tim in caduta libera e una Mediaset “blindata” dalle authority, si è rivelata un disastro finanziario.

[email protected]