Il 2022 si è chiuso in rosso di 205 milioni di euro per Monte Paschi di Siena (MPS). Tuttavia, sul risultato negativo ha influito il piano degli esodi incentivati da 925 milioni con cui il numero dei dipendenti è stato ridotto lo scorso anno di 4.125 unità. Senza, la banca senese avrebbe registrato un utile netto di 720 milioni. Le azioni MPS hanno aperto in rialzo nella seduta di oggi, di fatto approvando il bilancio dello scorso esercizio. Nel corso della seduta, però, il titolo ha accusato un deciso ribasso.

In effetti, nel complesso i numeri sembrano suggerire un cauto ottimismo. Nel quarto trimestre, l’utile netto è stato di 156 milioni contro i 75 attesi dagli analisti. Nell’intero anno, i ricavi sono aumentati del 3,6% a 3,09 miliardi, trainati dal +26% messo a segno dal margine di interesse (1,539 miliardi). Viceversa, le commissioni nette sono diminuite dell’8% a 1,365 miliardi. Sul primo dato ha influito positivamente il rialzo dei tassi d’interesse, sul secondo negativamente le perdite legate al trading, ai proventi e alle partecipazioni.

Attività caratteristica più remunerativa

E vediamo la ragione forse fondamentale che ha portato alla prima reazione positiva delle azioni MPS in borsa, oggi. Soffermiamoci proprio sul margine d’interesse. Esso segnala la capacità di una banca di fare utili attraverso la sua attività principale, che consiste nel prestare denaro dopo averlo preso in prestito dalla clientela. Al 31 dicembre scorso, l’istituto risultava avere erogato 76,3 miliardi di euro. Su questi è stato maturato un margine di 1,539 miliardi, pari al 2%. Questo è lo spread tra tassi attivi e passivi, in pratica la differenza tra gli interessi caricati sui prestiti e quelli pagati ai risparmiatori per depositare il loro denaro nelle filiali.

Nel 2021, il margine d’interesse era stato di 1,22 miliardi su 79,38 miliardi, pari all’1,54%. Dunque, il miglioramento in valore assoluto è avvenuto pur in presenza di un calo dei prestiti erogati. E a fine 2020, questi ammontavano a 82,6 miliardi.

Non un dato positivo per l’economia italiana in sé, perché significa che una delle sue più grandi banche sta sostenendo di meno imprese e famiglie. Ad ogni modo, resta da verificare il dato sui crediti deteriorati, cioè a rischio rimborso. Al 31 dicembre scorso, valevano 3,3 miliardi lordi, di cui 1,7 miliardi netti. In sostanza, MPS si era messa al riparo coprendo le possibili perdite per 1,6 miliardi, il 48,1% delle perdite potenziali.

Nel 2021, a fronte di 4,1 miliardi di crediti deteriorati lordi, il dato netto si attestava a 2,14 miliardi. Dunque, le coperture valevano 1,96 miliardi. E l’anno precedente ancora, esse si attestavano a 2,5 miliardi. Di anno in anno, quindi, si stanno riducendo i nuovi accantonamenti della banca, non perché il grado di copertura dei crediti a rischio stia venendo meno, bensì per il calo del dato lordo. Questo trend è importante, poiché segnala che il margine d’interesse non è eroso dalle perdite accusate a causa dei cattivi pagatori.

Azioni MPS su, acquirente più vicino?

In effetti, ciò che produce l’attività caratteristica di una banca è dato dall’interesse netto maturato sui prestiti, detratte le perdite legate alle erogazioni stesse. Le azioni MPS hanno reagito in rialzo alla pubblicazione dei conti preliminari proprio in virtù di questo trend positivo. Sulla base di questi dati, sarà forse meno complicato trovare un pretendente. Chi acquisirà la banca senese, avrà un bilancio ormai ripulito dallo stato riguardo ai crediti a rischio. E il rialzo dei tassi rende più allettanti gli 82 miliardi di euro di raccolta diretta, a cui si sommano 92,4 miliardi di raccolta indiretta che ha già perlopiù scontato la volatilità dei mercati dell’ultimo anno.

Attualmente, le azioni MPS capitalizzano complessivamente sopra 3 miliardi di euro, un dato superiore ai 2,5 miliardi di ricapitalizzazione dell’autunno passato. Se lo stato riuscisse a cedere in toto la sua quota, oggi come oggi riuscirebbe a maturare persino un piccolo profitto sugli 1,6 miliardi versati pro-quota qualche mese fa.

Il dato non tiene, chiaramente, conto degli enormi esborsi avvenuti negli anni passati. Ma va da sé che ormai appare difficile recuperarli, considerato che la banca dovrà essere ri-privatizzata entro la fine dell’anno prossimo al massimo.

Ma l’identikit del cavaliere bianco resta ignoto. L’AD di Unicredit, Andrea Orcel, non ha escluso un’acquisizione sul mercato domestico, ma non per il momento. Il manager si era alzato dal tavolo delle trattative nel 2021 dopo essere entrato in data room con il governo Draghi. Carlo Messina di Intesa-Sanpaolo ha fatto presente che la sua banca sarebbe “troppo grande” per partecipare a una simile operazione. Non avrebbe senso, ha spiegato, comprare MPS per poi vendere i tre quarti delle filiali su ordine dell’Antitrust. Viceversa, Giuseppe Castagna di BancoBPM, terzo gruppo italiano, definisce “troppo piccola” la propria banca. La missione del Tesoro resta complicata.

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