C’è qualcosa di magnetico negli anni Ottanta, se a distanza di quaranta anni non riusciamo a non parlarne, spesso enfatizzandone gli aspetti positivi. Fu un decennio senz’altro particolare, per certi versi irripetibile. L’Italia s’imborghesiva con la massificazione dei consumi e un’americanizzazione degli stili di vita. Fu il decennio dei mondiali di calcio vinti nel 1982, della nascita della tv commerciale, della Milano da bere, dello svecchiamento dei costumi, del secondo miracolo economico. In effetti, la parola crisi in quel periodo non esisteva, nessuno osava pronunciarla per non apparire antiquato e in contrasto con la realtà.

Fu davvero così? A guardare i dati macro, diremmo che gli anni Ottanta furono un buon periodo per la nostra economia, pur non così brillante come crediamo. Il PIL crebbe in media del 2,5% all’anno, ma il tasso di disoccupazione non fece che crescere fino a sfiorare il 10% nel 1989. Soprattutto, l’aumento del benessere avvenne a debito. Quello pubblico esplose da meno del 60% del 1980 a quasi il 100% del 1989. Questa è la nota più dolente di questo decennio apparentemente magico.

Politica fiscale e monetaria su strade parallele

Nel 1979, l’Italia entrava nel Sistema Monetario Europeo (SME). Si trattava di un cosiddetto “serpente” monetario: le monete nazionali europee sarebbero potute oscillare l’una verso le altre all’interno di una stretta banda. L’Italia spuntò una maggiore flessibilità con il +/-6% in considerazione della sua elevata inflazione. Successivamente, però, l’oscillazione massima fu portata a +/-2,5%. Nel febbraio del 1981, il Tesoro scrisse una lettera alla Banca d’Italia con la quale le rendeva noto che essa non sarebbe stata più tenuta a coprire le sue aste per la parte eventualmente andata scoperta. Fu il “divorzio” tra Tesoro e Bankitalia, che aveva un duplice scopo: eliminare la radice dell’alta inflazione italiana, cioè l’eccesso di spesa pubblica; indurre i governi a una maggiore prudenza fiscale.

Nel 1984, sempre a febbraio, il governo Craxi varava il famoso “decreto di San Valentino” con cui poneva fine alla scala mobile, cioè al meccanismo che indicizzava le retribuzioni dei lavoratori dipendenti all’inflazione, nei fatti perpetuandone le cause. Queste e altre misure degli anni Ottanta possono considerarsi lungimiranti, eppure si rivelarono per molti aspetti un disastro. Il problema non fu la loro bontà, quanto un male atavico dell’Italia e che ancora oggi non siamo riusciti a debellare: l’autismo istituzionale. Detto in parole povere, l’incapacità di fare squadra. Ognuno andava e va per conto suo, minacciando il buon esito di qualsiasi misura.

Nello SME l’Italia ci entrò per stabilizzare il cambio della lira contro le altre divise europee. Anziché approfittarne per rilanciare la nostra economia, ci adagiammo lasciando tutto il resto intatto. La conseguenza fu terribile: la bilancia commerciale negli anni Ottanta fu cronicamente passiva. Diciamolo a quanti ci raccontano la storia che grazie alla lira esportavamo di più. Le aziende private si ristrutturarono per adeguarsi a un cambio meno debole e ciò portò proprio all’aumento della disoccupazione. I generosi sussidi, spesso impropri (pensioni), elargiti dai governi impedirono la crisi sociale, ma contribuirono all’esplosione della spesa pubblica.

Boom debito pubblico

E arriviamo al nocciolo della questione. Il divorzio Tesoro-Bankitalia fu una cattedrale nel deserto. La politica fiscale e la politica monetaria andarono ognuno per conto proprio. L’allora governatore Carlo Azeglio Ciampi teneva alti i tassi di interesse per combattere l’inflazione e difendere la lira nello SME. Ciononostante, fu costretto a più riprese a svalutare il cambio. I governi mantennero intatti i saldi di bilancio, mandando il debito pubblico alle stelle. Anche qui certa narrazione vuole che la ragione della crisi fiscale fu il boom della spesa per interessi seguito al divorzio.

In effetti, questa più che raddoppiò rispetto al PIL ad una media superiore al 10% negli anni Ottanta.

Tuttavia, il saldo primario, cioè al netto proprio di tale voce di spesa, era pari al -5% del PIL nel 1981 e sarebbe rimasto negativo fino agli inizi degli anni Novanta. In altre parole, i governi che si succedettero non migliorarono significativamente i conti pubblici e ciò fece esplodere il deficit, ora che Bankitalia non monetizzava più i disavanzi fiscali. Lo stesso decreto di San Valentino contrastò l’inflazione nel breve periodo, ma non fu seguito da una politica che combattesse strutturalmente il carovita. Questo fece sì che gli anni Ottanta rimanessero quelli di un miracolo economico solo fittizio, che sarebbe stato pagato nei decenni successivi con enormi sacrifici dei contribuenti.

Anni Ottanta, sensazione del benessere facile

Non tutti concorderanno. Basti un dato per capire perché. I Buoni del Tesoro a 12 mesi offrivano il -4,5% in termini reali a inizio anni Ottanta e chiudevano il decennio a +5%. Chi aveva una minima capacità di risparmio, riusciva ad investire con profitto e maturare enormi guadagni senza addossarsi grossi rischi e restando in Italia stessa. L’impatto psicologico fu enorme e positivo. C’era la sensazione che fosse possibile vivere bene senza sudare troppo. Gli italiani pensarono di avere trovato il Sacro Graal della ricchezza diffusa a buon mercato. Si trattò di un’illusione, ma che a distanza di quattro decenni continua a fare sognare in tanti ad occhi aperti, complice l’iconoclastia di quel periodo di modernità.

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