In tempi di dibattito sui BTp patrioti per cercare di disinnescare la bomba di una grave crisi fiscale italiana, c’è chi nel mondo adotta soluzioni molto più sbrigative. E’ la Corea del Nord di Kim Jong-Un, il leader “scomparso” dal palcoscenico pubblico per oltre un paio di settimane, tanto da avere alimentato speculazioni sulla sua condizione di salute, salvo ricomparire a inizio mese sorridente e pimpante, oltre che senza mascherina. Egli è a capo di un cosiddetto stato-eremita, di cui nulla si conosce, se non quel poco di mistificatorio che viene trasmesso al TG nazionale.

Sappiamo, però, che l’emergenza Coronavirus ha colpito anche Pyongyang, dove non è che prima si vivesse una gran movida.

Se Kim Jong-Un è morto, quale impatto su Corea del Nord e resto del mondo?

Poiché l’economia già di pura sussistenza sta affrontando una dura crisi per via dei “lockdown” imposti all’estero e dallo stesso regime comunista, in aprile il governo ha cercato di risolvere il problema delle scarse entrate ricorrendo all’indebitamento. Come? Emettendo bond. Vi sembrerebbe qualcosa di normale, se non fosse che stiamo parlando di uno stato avulso dal resto del mondo e che solamente nel 2003 emise i cosiddetti “Bond di Sussistenza”, quando a capo del regime vi era il padre Kim Jong-Il. Per il resto, lo stato si è sempre limitato a spendere entro i limiti delle entrate, pur scarsissime, abituata com’è la popolazione alle ristrettezze. Del resto, i bond sono malvisti dagli stessi nordcoreani, non essendo il regime noto per il rispetto delle condizioni contrattuali.

Ma non immaginatevi qualcosa di lontanamente simile alle nostre emissioni obbligazionarie, dove gli intermediari finanziari si presentano al Tesoro per partecipare all’asta e decidono se e quanto acquistare sulla base del rendimento offerto. No, nulla di tutto questo, anche perché nella Corea del Nord non esiste una parvenza di capitalismo.

Lo stato ha deciso che il quantitativo offerto e che nemmeno il quotidiano dei dissidenti all’estero “Daily NK” è stato in grado di comunicare sarebbe stato venduto per il 60% a organizzazioni controllate e per il 40% ai “donju”, la classe media (si fa per dire) nordcoreana, composta da commercianti, piccoli imprenditori e finanzieri di belle speranze.

Il rifiuto equivale alla condanna a morte

Alle prime è stato imposta l’accettazione dei bond al posto del cash per l’acquisto di materie prime, di fatto trasformando i titoli di stato appena emessi in una sorta di moneta parallela, come fece lo Zimbabwe a fine 2016, peraltro scatenando una crisi economica e politica gravissima. Ai secondi non è stata lasciata libera scelta, semplicemente è stato fatto capire che il mancato acquisto avrebbe comportato l’accusa di “reazionarismo” contro il partito. E così, in aprile il direttore vendite del complesso industriale di Kangdong, nella periferia della capitale, riuniva i titolari di alcune miniere di carbone, ai quali veniva chiesto di partecipare all’acquisto dei bond.

Ecco come anche la Corea del Nord di Kim Jong-Un combatte il Coronavirus

Un tale Mr. Lee avrebbe chiesto quali conseguenze avrebbe comportato il diniego e alla risposta che si sarebbe incorsi in una punizione per inottemperanza alla linea del partito, avrebbe ribattuto sarcastico che il partito nulla avrebbe fatto per la sua attività. Ne sarebbe nato un diverbio, sul quale è stato fatto rapporto ai vertici comunisti locali, con la conseguenza che il 6 maggio scorso, a poche settimane dall’accaduto, l’uomo risulta essere stato arrestato e subito sottoposto a esecuzione a morte, mentre la suocera, la moglie e i due figli sono stati condotti in un campo di concentramento, pardon di “rieducazione”.

Persino per la brutale Corea del Nord un’esecuzione capitale così veloce e senza processo si mostra inconsueta, segno che il regime avrebbe così tanta sete di liquidità da avere segnalato alla popolazione di non gradire alcun rifiuto in questa fase emergenziale.

E dire che sotto Kim Jong-Un sia stato chiuso qualche occhio sulle attività private, consentendo a molte più persone di prima di commerciare, pur senza un vero riconoscimento formale. Già nei mesi scorsi, con le avvisaglie di crisi, il regime avrebbe stretto le maglie e adottato un giro di vite contro l’abusivismo e il mercato nero, negli ultimi anni parzialmente tollerati per migliorare le condizioni di vita dei nordcoreani, un popolo abituato a ogni tipo di privazione e che per questo risulta oggi più attrezzato di altri per subirne qualcuna in più.

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