E’ al centro di uno scontro politico ai massimi livelli. Si chiama Fiona Scott Morton, ha 56 anni, è americana e dal prossimo 1 settembre sarà capo-economista alla direzione generale della Concorrenza europea. In altre parole, l’autorità Antitrust a Bruxelles si affida a una “straniera”. Appena ufficializzata la nomina, la Francia di Emmanuel Macron è andata su tutte le furie. Il ministro degli Esteri, Catherine Colonna, ha chiesto un ripensamento al commissario Margrethe Vestager, che in tanti accusano di gestione solitaria. I capigruppo all’Europarlamento dei principali partiti hanno bocciato la nomina, sostenendo che sarebbe incomprensibile dinnanzi alle provate “ingerenze straniere” di questi anni a Bruxelles.

Il riferimento al Qatargate è diretto.

Dal canto suo, la Commissione si difende sostenendo che è stato seguito tutto l’iter necessario all’approvazione e che il profilo di Scott Morton è risultato il migliore a disposizione. La donna si è occupata di Antitrust tra il 2012 e il 2022 per il Dipartimento di Giustizia USA. In passato aveva anche fatto da consulente per la Big Tech americana, ossia colossi del calibro di Apple, Amazon e Microsoft, attraverso lo studio di Charles Rivers Associates. I francesi, in particolare, temono possa diventare il cavallo di Troia in Europa per tutelare gli interessi della Silicon Valley a discapito del nostro continente di dotarsi di un modello imprenditoriale altrettanto di successo.

Antitrust, scontro tra politica e tecnocrazia

Facciamo chiarezza. Se una persona è brava, ha un curriculum eccellente e superiore a quello di tutti gli altri candidati, la sua nazionalità non dovrebbe rilevare. E nessuno mette in discussione la preparazione di Scott Morton. Solo che l’Unione Europea non è un’azienda iscritta su LinkedIn, bensì la massima istituzione politica e amministrativa per ventisette stati comunitari. Ed è proprio qui che casca l’asino. La nomina dell’americana ha svelato tante criticità irrisolte. La più grave è che la Commissione soffre di un eccesso di tecnocrazia ormai sfuggente al controllo di chicchessia.

Gli organi politici propriamente detti non hanno l’ultima parola in processi decisionali che influenzano la vita di centinaia di milioni di cittadini.

Se è stata scelta Scott Morton, è perché per i commissari non esisterebbe una figura altrettanto preparata per l’Antitrust in un’area di circa 450 milioni di abitanti. E questo è dovuto al fatto che qualsiasi bando è farcito di così tanti requisiti di altissimo livello, che di fatto le richieste di Bruxelles il più delle volte diventano inarrivabili anche per gli esperti in materia. Salvo cedimenti a dir poco imbarazzanti, come quando il curriculum di Luigi Di Maio fu giudicato “il migliore in campo” per svolgere il delicato compito di rappresentante per l’Energia nel Golfo Persico. Esperienze in materia: nessuna.

Politica sotto scacco a Bruxelles

I tecnocrati tendono da sempre a non riconoscere la sfera politica come al di sopra di sé. Fanno parte spesso di quello che definiamo “deep state”, ma che nel caso dell’Unione Europea è tutt’altro che “deep”. E’ alla luce del sole come in nessun altro luogo al mondo ed era storica. Che la politica non riesca ad avere voce in capitolo in quasi nessun atto rilevante, svela il male alla base della costruzione europea degli ultimi decenni. L’Antitrust è solo l’ultimo capitolo di una saga pluridecennale. Capita anche per organismi come la Banca Centrale Europea (BCE) in politica monetaria e la Commissione per la politica fiscale. E’ corretto che la prima sia autonoma dal potere politico. Accade in qualsiasi altra economia avanzata e ciò consente in maniera più efficace ed efficiente la lotta all’inflazione. Ma in nessuna area del mondo esiste una incomunicabilità così totale tra sfera politica e banca centrale come nell’Eurozona.

Lo stesso dicasi per la materia fiscale.

I tecnici non possono imporre condizioni alla cieca agli stati come se fossimo in un regime commissariale. E ciò vale anche per il caso in cui tali condizioni siano state avallate dalla stessa politica. E’ quest’ultima che deve sempre avere l’ultima parola sugli atti di politica monetaria, altrimenti il concetto di democrazia risulta svuotato di significato. Governare è responsabilità, ma nell’Unione Europea è diventata un’arte impossibile per la subordinazione ormai totale al potere illimitato e autoreferenziale di una tecnocrazia soverchiante.

Difetti di costruzione europea

Infine, non ci sarebbe nulla di male ad assumere un’americana per ricoprire una posizione delicata, a patto che accadesse a parti inverse. Non risulta, però, che Washington prenda anche solo in considerazione un candidato europeo per cariche sensibili. E fa bene. In un paese da circa 340 milioni di abitanti troverebbe di certo una figura preparata, che si tratti di Antritrust o altro. Se non la trovasse, dovrebbe accontentarsi di profili meno ideali. Invece, l’Europa funziona secondo modelli astratti, teorici, requisiti impossibili e utopie sfrenate. Non si rende conto che ha appena appaltato la difesa del mercato europeo a una personalità che proviene da un mondo a noi rivale. I formalismi di un curriculum a Bruxelles valgono sopra ogni altra considerazione di carattere politico. L’espunzione della politica dal vocabolario è alla base di tutti i difetti della costruzione europea. E non s’intravede un cambio di passo.

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