Sicilia e Campania sono le regioni più colpite dall’abolizione del reddito di cittadinanza. A perdere il sussidio saranno 37.600 percettori isolani e 36.700 campani. Sommati, ammontano a quasi la metà dei 160.000 minori assegni staccati dall’Inps. Il passaggio al sostegno alla formazione e all’assegno di inclusione comporterà un risparmio stimato prudenzialmente in 1 miliardo di euro all’anno, quasi un decimo delle risorse medie impiegate allo scopo. Tra le province, Napoli è in testa alla classifica per beneficiari decaduti (21.500), seguita da Roma (12.225) e Palermo (11.573).

Proteste in diverse città italiane

L’abolizione del reddito di cittadinanza è diventato un tema caldissimo in questa già calda estate italiana. Movimento 5 Stelle e Partito Democratico cavalcano la protesta, non senza qualche ipocrisia per il secondo. Nel 2018, votò contro l’introduzione del sussidio. Viceversa, votò a favore la Lega di Matteo Salvini. Incoerenze di una politica che campa alla giornata. Si registrano proteste in varie città italiane, essenzialmente al Sud. E’ qui che si concentrano i due terzi dei beneficiari. Ed è soprattutto Napoli ad infiammarsi.

Questa settimana, centinaia di manifestanti hanno scandito slogan contro il governo e, in particolare, la premier Giorgia Meloni. Hanno invocato “lavoro subito e dignità“, altrimenti spiegano che “il reddito non si tocca”. Eppure c’è scarsa dignità in parte di questi cortei. A protestare si sono viste anche persone giovani e in apparente stato di salute. Hanno ripetuto la tiritera di questi anni, cioè che l’abolizione del reddito di cittadinanza sia illegittima se non prima lo stato non trovi il lavoro agli attuali percettori.

Riflessioni figlie di una società non progredita sul piano economico e sociale. In primis, perché evidenzia un atteggiamento passivo tra numerosi cittadini. Anziché cercare un lavoro, pretendono che qualcun altro lo trovi per loro. E non è detto che accetterebbero. Secondariamente, non comprendono i meccanismi basilari di funzionamento dell’economia, credendo di vivere in Unione Sovietica.

Qui, era papà stato a scegliere chi dovesse fare cosa. Insomma, la difesa del sussidio appare sempre più pretestuosa. Ricordiamo che l’abolizione del reddito di cittadinanza non riguarderà gli over 60, coloro che sono affetti da invalidità e quanti hanno minorenni a carico.

Nessuna bomba sociale in vista

Il provvedimento riguarda sostanzialmente i percettori tra 18 e 59 anni, i cosiddetti abili al lavoro. E coloro che frequenteranno un corso di formazione, otterranno per dodici mesi 350 euro mensili. Non siamo dinnanzi a un atto di macelleria sociale come certa stampa vuole far credere. Il governo sta tagliando laddove ritiene che vi sia un abuso. Perché mai un quarantenne in buona salute dovrebbe campare sulle spalle dei contribuenti e non trovarsi un lavoro? E’ verissimo che al Sud le opportunità occupazionali siano basse, ma non si può pretendere che sia lo stato ad accollarsi il mantenimento diretto di milioni di cittadini.

Ci sono percettori che non hanno mai formalmente lavorato. Fino al 2019, dunque, avevano di cosa vivere. Basterebbe tornare indietro con le lancette per evitare quella “bomba sociale” di cui mistificano associazioni e partiti politici. L’abolizione del reddito di cittadinanza non avviene in un contesto macroeconomico avverso. C’è il record di occupazione, mancano centinaia di migliaia di lavoratori, specie nel settore turistico-alberghiero, le imprese chiedono di allentare le maglie sull’ingresso dei cittadini extra-comunitari per trovare manodopera disponibile. Si dirà che molti di questi lavori siano mal retribuiti. Ed è verissimo. Ma allora la battaglia non deve essere sulla conservazione del sussidio, bensì sulla creazione di occupazione di qualità.

Abolizione reddito di cittadinanza, percettori con scarsa istruzione

Molti dei percettori non posseggono un titolo di studio che vada oltre la licenza media o elementare. E’ comprensibile per coloro che abbiano un’età a ridosso della pensione, molto meno per trentenni e quarantenni.

L’assenza di istruzione è un male che al Sud, in particolare, ha impedito il progresso socio-economico per decenni. E non ha scusanti. La scuola italiana è gratuita, per cui tutti hanno giustamente l’opportunità di studiare indipendentemente dalle condizioni sociali di partenza. E’ l’ignoranza che impedisce di trasformare questa opportunità in realtà. Ma non è accettabile che si continui a scaricare sugli altri cittadini il costo della propria ignoranza.

Chi lamenta oggi di non avere chance lavorative, probabilmente è consapevole di non essere in possesso di alcuna formazione specifica. Si batte contro l’abolizione del reddito di cittadinanza per nascondere a sé stesso il fallimento di scelte passate. Lo stato sta consentendo, nei limiti del possibile, di ritagliarsi una seconda occasione puntando sullo studio. Non ne approfitteranno in molti, perché il valore assegnato alla formazione risulta bassissimo, se non nullo dalla stragrande maggioranza dei percettori. Essi preferiscono intascare passivamente il sussidio e fingere che una carta di colore giallo dia loro dignità.

La politica soffia sulle paure, paventando il rischio che milioni di persone finiscano sul lastrico. I numeri smentiscono questa ricostruzione. Semplicemente, l’abolizione del reddito di cittadinanza pone fine al mercimonio degli anni passati. Esso ci aveva riportati indietro di quasi mezzo secolo, quando le false pensioni di invalidità erano elargite anche a soggetti giovani e sani al Sud con la connivenza di politici e istituzioni. I governi si lavarono la coscienza e rinunciarono a far attecchire lo sviluppo sotto Roma.

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