Di Shiba Inu ci siamo occupati alcune settimane fa, quando la “criptovaluta” aveva toccato alla fine di ottobre il suo prezzo massimo. Da allora, ha perso quasi il 60%, ma nelle ultime sedute si è ringalluzzita dopo che un grosso investitore anonimo ha comprato 4.000 miliardi di token per 134 milioni di dollari.

L’offerta in circolazione è molto abbondante. Di Shiba Inu ve ne sono oltre 549.000 miliardi, sebbene ciascun token valesse ieri solamente 0,00003184 euro. L’intera capitalizzazione del mercato sfiora i 17,5 miliardi, ponendosi di poco dietro a quella di Dogecoin.

Si tratta di una “criptovaluta” nata solamente nell’agosto dello scorso anno e che da inizio 2021 ha messo a segno un rialzo di oltre il 53.000.000%.

Questo significa che se l’1 gennaio scorso aveste investito un misero euro in Shiba Inu, oggi sareste ricchissimi. Attenzione, però, a fare facili equazioni. Per prima cosa, entrare sul mercato è facilissimo; basta aprire un account e spostarci i tuoi soldi. Uscirne è tutta un’altra roba. Serve che qualcuno compri, cosa non scontata riguardo ai tempi e ai prezzi ambiti dalla controparte. Il mercato, insomma, è poco liquido.

Shiba Inu, occhio non al prezzo

Oltretutto, non dobbiamo guardare al prezzo in sé. Esso è apparentemente così basso, specie se raffrontato a quello di Bitcoin o Ethereum, che sembra naturale credere che salirà almeno fino a diversi euro. In realtà, dovremmo guardare alla capitalizzazione complessiva più che alla quotazione del singolo token. In altre parole, possiamo anche credere che Shiba Inu raggiunga i livelli di Bitcoin, ovvero che nel complesso arrivi a valere anche 1.000 miliardi. Questo significherebbe incrementare il prezzo di una cinquantina di volte rispetto ad oggi, nel migliore dei casi possibili. Scordiamoci, quindi, una performance futura anche solo lontanamente simile a quella dell’ultimo anno. Semplicemente, non vi sarebbero capitali a sufficienza nel mondo per sostenere un tale rally.

Restano dalla parte di Shiba Inu due elementi a favore.

Anzitutto, sfrutta la “blockchain” di Ethereum e, pertanto, si presta ad essere utilizzato per l’implementazione degli “smart contracts”, i contratti che si auto-adempiono. E, cosa ancora più importante, la “criptovaluta” è sottoposta a un processo di “burning”. Ad oggi, più di 410.000 miliardi di token sono finiti nei cosiddetti “dead wallets”, portafogli senza password e di fatto impossibili da utilizzare. Dunque, l’offerta reale tende a ridursi nel tempo.

Ad esempio, il co-fondatore di Ethereum, Vitalik Buterin, ha ricevuto in dono circa la metà dell’offerta iniziale complessiva, a sua volta donandone per 1 miliardo di dollari al Covid Crypto Relief Fund in India e “bruciando” tutti i token restanti. E Spotify “brucia” 20 Shiba Inu ogni volta che uno dei 397 brani di una lista è mandato in streaming. In teoria, questo processo dovrebbe sostenere i prezzi nel tempo, per non parlare del fatto che un singolo investitore, istituzionale o individuale, abbia appena puntato grossi capitali su questo token. Il tempo dirà se si sia trattato di lungimiranza o follia.

[email protected]