E’ stato un incontro cordiale quello che ieri si è svolto allo Studio Ovale della Casa Bianca tra il presidente americano Donald Trump e il cancelliere tedesco Friedrich Merz. Nessuna tensione tra i due, anzi il vertice è stato caratterizzato da reciproci complimenti e ammiccamenti. Di ritorno a Berlino, però, le difficoltà per il secondo non saranno diminuite. I dati di aprile parlano di una crisi in Germania tutt’altro che alle spalle. Il rimbalzo del Pil nel primo trimestre (+0,4% da -0,2% di ottobre-dicembre 2024) aveva fatto sperare nell’uscita definitiva dalla recessione. Invece, scopriamo che due mesi la produzione industriale si è contratta dell’1,4% rispetto a marzo e dell’1,8% su base annuale.
Giù le esportazioni negli USA
Come se non bastasse, gli stessi dati di marzo sono stati rivisti al ribasso: crescita mensile da +3% a +2,3% e calo annuale da -0,2% a -0,7%. Cosa ha determinato tale contrazione? Il peggioramento della bilancia commerciale. Resta nettamente in attivo di 14,6 miliardi di euro, ma meno dei 21,2 miliardi di un anno prima e anche sotto i 20,2 miliardi del consensus. Le esportazioni sono diminuite a 131,1 miliardi dai 133,8 miliardi di un anno prima. Nulla di drammatico. Ma è indicativo che gran parte di questo calo sia dovuto agli USA, dove per la prima volta quest’anno il dato tendenziale risulta negativo: -1,18 miliardi di dollari.
Aprile è stato il primo mese in cui gli USA hanno alzato i dazi sulle importazioni dal resto del mondo. La tariffa al 20% sulle merci europee è stata sospesa per 90 giorni e ridotto al 10%. Pur sempre il quadruplo del dazio medio applicato in precedenza.
La Germania aveva registrato un surplus di 85 miliardi di dollari con gli USA nel 2024, pari all’1,8% del suo Pil. Le esportazioni avevano superato i 160 miliardi di dollari, il 3,4% del Pil. Sono numeri in linea con quelli dell’Italia in termini percentuali. Le nostre economie dipendono in buona parte dalle esportazioni negli USA, cioè dai consumatori americani.
Incognite tassi e cambio
La scommessa di Merz di rianimare il Pil attraverso il riarmo tedesco per superare la crisi in Germania è rischiosa. Da sola potrebbe non bastare. Soprattutto, servirebbero probabilmente anni prima di toccare con mano i risultati. Gli elettori avranno tanta pazienza? A meno che l’inflazione nell’Eurozona non continui a scendere e sostare stabilmente sotto il 2%, la Banca Centrale Europea ha sostanzialmente completato il taglio dei tassi di interesse. Lo ha fatto intendere ieri alla conferenza stampa di Christine Lagarde. La politica monetaria smetterà di apportare buone notizie all’economia. Tocca ai governi fare la loro parte.
E i governi nel frattempo potrebbero dovere fare i conti con una ripresa del cambio euro-dollaro più forte di quanto sarebbe desiderabile. Dazi ed euro forte sono un combinato esplosivo per le esportazioni. A meno che avesse ragione Lagarde nel fare notare che sia illogico che l’euro si rafforzi con le imprese nell’area colpite dai dazi. Forse è un messaggio in codice per i mercati: “non tollereremo un apprezzamento del cambio smisurato”.
Una Germania in crisi da anni sembra meno restia ad opporsi. Continua a mancare un driver per la crescita, una svolta decisiva.
Crisi in Germania esige accordo commerciale UE-USA
L’agenda Merz prevedrebbe anche la sburocratizzazione dell’amministrazione pubblica e una ventata di mercato. Il fatto che sia costretto a governare con i socialdemocratici, limita la sua azione politica. Sul piano europeo si sta andando verso lo smantellamento del Green Deal per cercare di offrire sostegno non solo all’automotive, ma alle imprese continentali in generale abbassandone i costi di produzione e le incombenze burocratiche. Tutte mosse che non esiteranno frutti immediati. La crisi della Germania è qui per restare. Merz non potrà permettersi che l’Unione Europea non stringa un accordo commerciale con Trump entro fine giugno o inizio luglio al massimo.