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Oggi: 05 Dic, 2025

Buoni pasto esentasse fino a 10 euro, cosa ci dice la misura in favore dei lavoratori?

La legge di Bilancio prevede di rendere i buoni pasto esentasse fino a 10 euro per il formato elettronico. Novità positiva per i lavoratori.
1 mese fa
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Buoni pasto esentasse fino a 10 euro
Buoni pasto esentasse fino a 10 euro © Licenze Creative Commons

La legge di Bilancio licenziata dal Consiglio dei ministri di venerdì 17 ottobre contiene diverse novità per i lavoratori italiani. E tra queste ve n’è una di cui si discute da mesi e che sta per vedere finalmente la luce. I buoni pasto in formato elettronico saranno resi esentasse fino a 10 euro dal 2026, mentre ad oggi lo sono fino a 8 euro (4 euro per il formato cartaceo). Una misura che coinvolge fino a 3,5 milioni di lavoratori dipendenti, di cui 2,8 milioni del settore privato.

Buoni pasto, come funzionano

Già a settembre era scattata un’altra novità per i buoni pasto. Gli emittenti non possono più imporre commissioni agli esercenti superiori al 5% del valore nominale.

In alcuni casi, erano arrivate fino al 20%. Per capirci, un ticket viene emesso da una società apposita che stipula accordi con una rete di esercenti (bar, ristoranti, supermercati, ecc.). Le aziende che vogliono offrire il servizio ai lavoratori per la pausa pranzo, si rivolgono a tali emittenti e consegnano i buoni ai dipendenti. Questi li possono spendere presso gli esercizi convenzionati, i quali a loro volta riceveranno il pagamento cash da parte degli emittenti, al netto delle spese per le commissioni.

Atteso maggiore gettito fiscale

Abbassando queste ultime, il valore reale dei buoni pasto è praticamente cresciuto. Questo significa che i lavoratori potranno ricevere un servizio migliore e gli esercenti potranno guadagnare di più da esso. Ma veniamo alla novità in vista con la manovra appena presentata dal governo. Finora le imprese non pagano imposte e contributi sui buoni pasto erogati ai dipendenti fino all’importo di 8 euro, in quanto considerati un elemento a parte rispetto alla retribuzione ordinaria. Dal 2026 l’esenzione salirà fino a 10 euro.

Questo non significa che, automaticamente, le imprese alzeranno il valore dei ticket offerti, sebbene avranno maggiore convenienza a farlo.

Calcolando 220 giorni lavorativi all’anno, l’aumento dell’esenzione si tramuterebbe in 440 euro in più a favore dei lavoratori. Considerate che i buoni pasto non fruiti giornalmente possono essere usati presso i supermercati per fare la spesa. C’è un limite di otto ticket per volta (64 euro, che saliranno a 80 euro dal 2026). Allo stato costerà solo 75-90 milioni all’anno per il fatto che l’esenzione riguarderà anche i lavoratori del pubblico impiego. Tuttavia, si calcolano maggiori consumi fino a 1,9 miliardi e un aumento del gettito IVA fino a 200 milioni. Il saldo per le casse pubbliche sarebbe positivo.

Operazione win-win

A quanto pare, l’innalzamento della soglia di esenzione per i buoni pasto sarà un’operazione “win-win”. In pratica, ci guadagneranno tutti: i lavoratori potranno consumare pasti o fare la spesa in misura maggiore, le imprese potranno risparmiare su un aumento della retribuzione di fatto, gli esercenti venderanno di più e lo stato avrà maggiori entrate fiscali. La domanda sorge spontanea: perché non ci abbiamo pensato prima se le cose stanno così?

Una vera risposta non esiste. Il problema è mentale. Lo stato ha quasi paura di fare la cosa giusta, tanto è abituato a fare quella sbagliata.

Esentare i buoni pasto per 2 euro in più comporta un minimo costo a fronte di un beneficio netto positivo e relativamente elevato. Non è l’unico caso del genere. Tagliare le imposte a chi lavora e produce è il modo più diretto e migliore di stimolare la crescita. Si tentenna a farlo per la paura di dovere ridurre spese improduttive, ma portatrici di consenso, per fare quadrare i conti pubblici. Si preferisce lo status quo che fa male a tutti, anziché tendere verso un equilibrio che migliori la posizione di molti.

Buoni pasto spia di fisco opprimente

La riforma dei buoni pasto ci segnala proprio questo. Lo stato può dare una mano al mercato del lavoro senza rimetterci nulla, anzi guadagnandoci direttamente e indirettamente. La novità svela anche altro, cioè che abbiamo bisogno di un fisco meno oppressivo sui redditi di chi lavora. I ticket sarebbero a tutti gli effetti componenti retributive, ma a suo tempo il legislatore optò correttamente per non considerarli tali (fino a un determinato importo) per dare ossigeno ad imprese e lavoratori. Questo ci spiega che il vero problema si chiama fisco. Giusto pagare le imposte, non al punto da soffocare ogni forma di produzione della ricchezza per tenere in vita sacche di sprechi tra un ministero e l’altro.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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