E’ vero che per aumentare la spesa militare dovremo tagliare scuola e sanità?

L'aumento della spesa militare dovrà avvenire a discapito di scuola e sanità come sostiene parte delle opposizioni o la verità è un'altra?
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2 settimane fa
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Aumento della spesa militare a discapito di scuola e sanità?
Aumento della spesa militare a discapito di scuola e sanità? © License Creative Commons

Il riarmo segna una nuova linea di demarcazione nella politica italiana tra maggioranza e opposizione, ma più concretamente tra la prima (con qualche mal di pancia della Lega) e parte delle seconde. L‘aumento della spesa militare deciso al vertice NATO di una settimana fa divide il centro-destra dal fumoso “campo largo”. Ed è dentro il secondo che stanno esplodendo le contraddizioni. Il Movimento 5 Stelle e Alleanza Sinistra Verdi si collocano su posizioni decisamente contrarie, mentre il Partito Democratico è lacerato tra la linea ostile della segretaria Elly Schlein e l’ala riformista che sta con Bruxelles. I centristi di Italia Viva e Azione, infine, appoggiano l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica.

Spesa militare a discapito di scuola e sanità?

I contrari sostengono che l’aumento della spesa militare porterà ai tagli di servizi come scuola e sanità. L’entità concordata a L’Aia, Olanda, sarebbe a loro avviso tale da minacciare la tenuta dello stato sociale. Gli stati membri, tra cui l’Italia, si sono impegnati a portare dal 2% al 5% gli stanziamenti in favore della difesa. Il nostro Paese aveva chiuso il bilancio nel 2024 all’1,5%. Tuttavia, già nelle scorse settimane il governo Meloni annunciava il raggiungimento del 2% con lo spostamento di alcune voci di bilancio. In sostanza, lo 0,5% si è trovato senza un reale incremento della spesa.

Gli escamotage contabili non saranno sufficienti, però, a portarci dal 2% al 5%. Anche se è probabile che altre voci verranno ricondotte alla difesa, tra cui i pattugliamenti alle frontiere e la lotta al terrorismo, nonché la cybersicurezza. Inoltre, il 5% è composto più precisamente dal 3,5% strettamente legato alla difesa e da un 1,5% di spese correlate alle infrastrutture e necessarie a rendere effettiva la capacità di difesa degli stati da eventuali attacchi esterni.

Pensate che si sta ipotizzando persino di includere investimenti come il Ponte sullo Stretto tra le voci finanziabili e non sottoposte ai limiti del Patto di stabilità.

Cifre su spesa pubblica italiana

Quest’ampia prefazione è utile per capire di cosa stiamo parlando. Nessuno deve immaginare che l’Italia dovrà spendere un altro 3% solo per carri armati ed esercito. I maggiori investimenti riguardano tanto altro e in parte assorbiranno voci di spesa già iscritte a bilancio. Esiste il rischio che capitoli come scuola e sanità vengano tagliati? La risposta deve partire dai numeri. Lo scorso anno, la spesa pubblica italiana risultava al 50,6% del Pil. In valore assoluto, circa 1.110 miliardi di euro. Al netto della spesa per interessi, che non è direttamente controllabile dal governo, era del 46,7% o 1.024 miliardi.

La spesa per la scuola ammontava al 4,1% del Pil, mentre per la sanità era del 6,3%. Insieme, le due voci arrivano a poco più del 10% del Pil e al 22,3% della spesa primaria. Praticamente, la spesa pubblica diversa da istruzione e salute vale oltre il 36% del Pil e quasi il 78% del totale. Non ci sono grossi dubbi circa il fatto che esistano grossi margini per tagliare altrove prima ancora di ipotizzare un aumento delle entrate (più tasse).

Dove? Eliminiamo la stessa spesa per la difesa, al 2% del Pil come detto. E vogliamo anche scartare le pensioni, che valgono intorno al 16% del Pil. Cosa resta? Più di 400 miliardi di spesa pubblica, gran parte della quale legata a burocrazia e sussidi.

Approccio graduale, mercati per ora sereni

Con questo vogliamo provare che l’aumento della spesa militare non comporti di per sé il taglio di spese socialmente sensibili. E’ la politica che dovrà scegliere se e cosa tagliare. Se scegliesse proprio di ridurre gli stanziamenti in scuola e sanità, sarebbe un’opzione tutt’altro che ineludibile, bensì ricercata. E c’è da dire che in tutti questi anni entrambi i due capitoli sono rimasti stabili rispetto al Pil. La storia dei tagli, che ogni opposizione rimprovera al governo di turno, non è reale. Si può eccepire che la spesa sia insufficiente a fronteggiare la crescente domanda, specie nella sanità, ma non che in valore assoluto e anche in termini reali (salvo qualche anno) stia scendendo.

Poiché i numeri non mentono e non sono né di destra, né di sinistra, la logica ci fa concludere che la spesa militare non dovrebbe andare a discapito dei servizi basilari. E l’aumento non sarà di 3 punti del Pil, né immediato. L’Italia ha ottenuto un rinvio dal 2027. La gradualità consentirebbe al governo di gestire i conti pubblici senza grossi impatti, ragione per cui lo spread in questi giorni è sceso fino ai minimi dal 2010. I mercati non si aspettano nuovi debiti, perlomeno non in misura preoccupante.

Servono investimenti pro-crescita

A dirla tutta, data l’ampia gamma di scelte possibili, l’aumento della spesa militare può contribuire a sostenere la crescita dell’economia italiana. A patto, però, che esso punti su voci ad alto moltiplicatore, cioè su spese che tendono ad accrescere i consumi interni (e il Pil) in misura maggiore al loro livello. E sperando che l’Unione Europea minimizzi le importazioni dall’estero (USA, essenzialmente), altrimenti l’operazione finirebbe per trasformarsi in un sussidio mascherato all’economia americana, magari in cambio di dazi bassi sulle nostre esportazioni.

Se più spesa militare significasse potenziamento delle infrastrutture viarie, ricerca scientifica e informatica e investimenti ad alto contenuto tecnologico, il potenziale di crescita nel lungo periodo aumenterebbe e con esso il gettito fiscale. Non vogliamo dire che il tutto si ripagherebbe da sé, ma perlomeno l’impatto netto sui conti pubblici risulterebbe inferiore a quanto temiamo in questa fase. D’altra parte è pur vero che l’obiettivo NATO del 5% di per sé sia privo di giustificazione “scientifica”. Serve che la spesa militare aumenti nel complesso, ma soprattutto che risulti più efficiente ed efficace, eliminando sovrapposizioni che in Europa derivano dalla segmentazione degli stanziamenti su base nazionale.

Spesa militare al 5% obiettivo poco chiaro

In sostanza, sulla spesa militare si stanno perseguendo parametri-feticcio come per il deficit con il Patto di stabilità. Non esiste alcun calcolo alla base della necessità di raggiungere il 5% del Pil. La cifra è scaturita dalla trattativa tra Europa e Stati Uniti, con i secondi a reclamare un crescente impegno della seconda sul fronte della propria sicurezza. Sembra più che altro che il maxi-aumento sia stato deciso per accontentare l’amministrazione Trump, intento a ridurre il grado di indebitamento di Washington.

Infine, non dimentichiamo che il precedente obiettivo del 2%, deciso nel 2014, ad oggi risulta disatteso dalla stragrande maggioranza dei membri NATO. Nessuno ci garantisce che non accada anche per il nuovo, specie consideratone il carattere di lungo periodo. Non c’è ragione per andare nel panico su scuola e sanità. Ci sono tante e corpose voci del bilancio a rendere possibile il riarmo senza colpire queste spese elementari.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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