Assenza Ingiustificata? Le 3 verifiche chiave prima delle dimissioni per fatti concludenti

Quando l’assenza ingiustificata si prolunga, il datore può valutare le dimissioni per fatti concludenti come soluzione legittima
2 settimane fa
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dimissioni per fatti concludenti
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Nel panorama del diritto del lavoro italiano, esistono situazioni in cui il comportamento del dipendente può assumere, di per sé, un valore giuridico determinante. Una di queste circostanze è rappresentata dalle dimissioni per fatti concludenti, un istituto disciplinato dall’art. 26, comma 7-bis, del Decreto Legislativo n. 151 del 2015 (come da ultimo aggiornato).

In particolare, tale meccanismo si applica nei casi in cui un’assenza protratta e ingiustificata possa essere interpretata come volontà di abbandonare il posto di lavoro.

Il significato di “fatti concludenti” nel contesto lavorativo

Il termine “fatti concludenti” si riferisce a comportamenti che, pur in assenza di una manifestazione esplicita di volontà, lasciano intendere chiaramente l’intenzione del soggetto.

Nel contesto lavorativo, ciò si traduce in condotte che dimostrano, in maniera inequivocabile, la volontà di non proseguire il rapporto di lavoro. Tra queste, l’assenza ingiustificata protratta oltre un certo periodo può configurarsi come una dimissione implicita.

I passaggi preliminari prima di attivare la procedura

La possibilità di considerare il comportamento del dipendente come una dimissione tacita non può essere attivata in modo automatico. È necessario che il datore di lavoro segua un iter accurato e fondato su verifiche oggettive. In particolare, tre sono gli elementi chiave da analizzare prima di procedere:

Comportamento Omissivo e Disinteresse al Lavoro

Il primo elemento da valutare è l’atteggiamento del lavoratore. L’assenza ingiustificata deve apparire come espressione di un disinteresse a mantenere il rapporto lavorativo. Questo tipo di comportamento non può essere occasionale, ma deve manifestarsi come sistematico e prolungato.

Verifica dell’assenza di Comunicazioni

Un altro aspetto fondamentale è l’assenza di qualsiasi tipo di comunicazione da parte del lavoratore.

Anche una semplice email o messaggio che giustifichi in modo generico l’assenza (es. motivi personali, familiari, o richieste di congedo non ancora approvato) può impedire l’attivazione della procedura. Solo in assenza totale di spiegazioni, la condotta può essere valutata come rifiuto implicito della prestazione lavorativa.

Durata dell’Assenza

Il parametro temporale è altrettanto rilevante. La normativa richiede che l’assenza ingiustificata si protragga per almeno 15 giorni di calendario consecutivi. Tale soglia temporale funge da spartiacque per l’applicabilità dell’istituto: solo oltrepassato tale limite si può avviare l’iter previsto per le dimissioni implicite.

La procedura formale: quando il silenzio diventa una scelta

Una volta accertati i presupposti sopra indicati, il datore di lavoro può procedere all’attivazione della procedura dimissioni per fatti concludenti previsto dall’art. 26, comma 7-bis, del D.lgs. 151/2015. La normativa permette di formalizzare le dimissioni senza necessità della convalida da parte del lavoratore, proprio in virtù della natura “concludente” degli atti compiuti, ovvero l’assenza prolungata e ingiustificata.

Tuttavia, è sempre consigliabile documentare accuratamente ogni fase dell’iter, incluso l’invio di eventuali solleciti al dipendente e la conservazione delle prove della mancata risposta.

Dimissioni per fatti concludenti: le tutele pe le lavoratrici Madri

Particolare attenzione deve essere posta quando il soggetto assente è una lavoratrice che potrebbe rientrare tra quelle tutelate dalla normativa sulla maternità.

In tali casi, la possibilità di ricorrere alle dimissioni per fatti concludenti è espressamente esclusa, per evitare violazioni dei diritti garantiti alle madri lavoratrici.

L’articolo 55 del D.lgs. n. 151/2001 elenca in modo dettagliato i periodi nei quali la lavoratrice è protetta e, pertanto, non soggetta all’applicazione della procedura in esame:

  • durante l’intero periodo di gravidanza;
  • nei primi tre anni dalla nascita del figlio;
  • nei primi tre anni dall’accoglienza del minore, nei casi di adozione o affidamento;
  • nei tre anni successivi alla comunicazione dell’incontro con il minore in caso di adozione internazionale.

In presenza di uno di questi scenari, qualsiasi iniziativa del datore di lavoro volta alla cessazione del rapporto dovrebbe essere valutata con estrema cautela e, preferibilmente, assistita da consulenza legale.

Riassumendo

  • Le dimissioni per fatti concludenti derivano da comportamenti impliciti del lavoratore.
  • L’assenza ingiustificata deve durare almeno 15 giorni consecutivi.
  • Nessuna comunicazione da parte del dipendente è condizione necessaria.
  • La lavoratrice assente non deve risultare tutelata dalla normativa sulla maternità.
  • Il datore deve documentare ogni verifica e passaggio prima di procedere.
  • L’uso improprio della procedura può esporre l’azienda a rischi legali.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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