Non è un Paese per vecchi recitava il titolo di uno storico film. Ma l’Italia ha anche il problema opposto: non è un Paese per giovani. Il risultato è che l’incertezza e la paura alimentano lo scontro generazionali. Sul tema pensioni la questione è sempre accesa come una scintilla mai sopita che a volte infuoca più forte e altre si affievolisce solo in apparenza. Il punto è che i giovani non credono nel futuro delle pensioni, della loro pensione soprattutto, e se la prendono con “i vecchi”, ossia gli attuali pensionati che “hanno il privilegio della pensione” pagata con i contributi dei lavoratori di oggi.
Diventa una guerra tra poveri in cui i pensionati lamentano un diritto acquisito con fatica (e spesso insufficiente a vivere dignitosamente) e i giovani vorrebbero avere la certezza che i contributi versati servano a pagare la loro pensione futura. Chi ha ragione? Entrambi. Ma quando la coperta è corta nessuno vuole restare al freddo.
Contributi pensioni: quando lo scontro tra generazioni torna a farsi sentire
Non è solo una questione di età. Dietro le tensioni tra giovani e anziani che periodicamente riemergono in Italia, c’è la sensazione di un patto sociale che non regge più. Oggi molti under 40 si chiedono perché dovrebbero versare contributi per finanziare le pensioni di chi li ha preceduti, sapendo che, quando toccherà a loro, riceveranno molto meno.
Un dubbio antico, che si riaccende ogni volta che il Paese attraversa una fase di incertezza economica.
Un malessere che cresce nei momenti di crisi
Guardando alle rilevazioni degli ultimi venticinque anni, emerge un andamento chiaro: più cresce la precarietà, più si allarga la frattura generazionale.
Alla fine degli anni ’90 solo una minoranza di italiani riteneva ingiusto che i giovani dovessero farsi carico delle pensioni altrui.
Poi, con la crisi del 2011, lo scenario è cambiato: la riforma Fornero, le proteste sociali e l’impennata dello spread hanno alimentato un senso di sfiducia profondo. In quel periodo l’idea di “non voler pagare per un sistema che non restituirà” si è consolidata.
Negli anni successivi, la tensione è oscillata con l’andamento dell’economia: si è attenuata durante la pandemia, quando la paura comune ha temporaneamente ricucito il legame tra le generazioni, per poi riemergere con forza negli ultimi anni.
Oggi, quasi quattro italiani su dieci condividono l’idea che il patto previdenziale non sia più equo.
Pensioni: i giovani non ci credono più e se la prendono con i vecchi
L’atteggiamento più critico si concentra tra i più giovani. Tra gli under 25, oltre la metà ritiene che il sistema dei contributi pensionistici vada ripensato: temono di versare per decenni senza la certezza di ricevere in futuro una prestazione dignitosa.
Un sentimento che coinvolge anche chi si trova nel pieno dell’età lavorativa — tra i 35 e i 44 anni — spesso gravato da carriere discontinue e stipendi insufficienti per costruire una pensione adeguata.
Sul piano sociale, la sfiducia è più alta tra studenti, operai e impiegati: categorie che vivono sulla propria pelle la difficoltà di accumulare contributi regolari.
Più contenuto invece il malcontento tra professionisti e imprenditori, mentre i pensionati restano in gran parte fedeli al modello attuale — comprensibilmente, visto che ne sono i principali beneficiari.
Un patto sociale da riscrivere
Il vero nodo non è morale, ma strutturale. Il sistema previdenziale italiano è stato costruito in un’epoca di crescita economica e demografica, quando i lavoratori attivi erano molti e i pensionati pochi.
Oggi il rapporto si è ribaltato: ogni generazione finanzia quella precedente, ma senza garanzie che qualcun altro farà lo stesso domani.
Per i giovani, il rischio è duplice: carriere intermittenti che riducono i contributi e un futuro con pensioni calcolate interamente sul metodo contributivo, molto meno generoso del passato.
In questo contesto, lo scontro generazionale diventa la spia di un problema più profondo. Un modello di welfare pensato per un’Italia che non esiste più.
La via d’uscita: un nuovo patto tra generazioni
Per ricucire la frattura serve un nuovo patto sociale, fondato su equilibrio e trasparenza.
Significa:
- rendere più sostenibile il sistema dei contributi, premiando chi lavora in modo continuativo e penalizzando meno chi ha carriere frammentate;
- favorire la previdenza integrativa con agevolazioni mirate ai giovani;
- riconoscere il valore del lavoro stabile e retribuito in modo equo. Perché senza redditi adeguati non ci sono contributi da versare né pensioni da garantire.
Ricostruire la fiducia tra le generazioni è possibile solo se chi lavora oggi intravede un ritorno concreto per il domani.
Non è una battaglia tra giovani e anziani, ma una sfida collettiva per evitare che la solidarietà su cui si fonda il nostro sistema di welfare si trasformi in una resa dei conti sociale.