Ai tempi della lira si stava meglio o peggio di oggi? Al di là delle opinioni divergenti tra italiani, l’opinione più diffusa è che allora godevamo di una relativa sovranità monetaria, ma anche di tipo economico e finanziario, oltre che politico. Ricordi a dir poco fallaci, ma che si possono spiegare non soltanto con l’effetto nostalgia per i tempi che furono. Più che una rimozione collettiva di tutto ciò che non andava, c’è la comparazione tra periodi storici molto differenti in termini di politiche economiche. Oggi siamo costretti a stringere la cinghia per fare quadrare i conti pubblici, in molti casi proprio a causa dei debiti lasciatici in eredità dai governi tanto rimpianti di 40-50 anni fa. E’ facile avere bei ricordi di quanto facevamo le cicale.
Ai tempi della lira cambio non libero di muoversi
Tornando al concetto di sovranità, qualcuno alzerà il sopracciglio nell’apprendere che ai tempi della lira ne possedevamo persino meno di oggi. Prima di dimostrarlo, dati alla mano, bisogna sgomberare il campo da un equivoco: sovrani non significa poter fare quello che si vuole. Se così fosse, nessuno rinuncerebbe mai alla propria sovranità in qualsivoglia ambito. La realtà è che le leggi dell’economia valgono dappertutto e ogni tempo.
Gli Stati Uniti non sono per caso sovrani? Eppure, malgrado il dollaro, sono costretti anch’essi a scendere a patti con la realtà. Dopo decenni di lassismo fiscale, sono costretti ora anch’essi a fare i conti con i mercati. Ai tempi della lira fu lo stesso per l’Italia. Eravamo così “sovrani”, che il nostro cambio contro le altre divise europee poteva muoversi del +/-6% attorno alla parità.
Un range uguale a quello fissato per Regno Unito, Spagna e Portogallo, ma molto maggiore del +/-2,25% previsto per le altre valute. E questo avvenne tra il 1979 e il 1999 con il Sistema Monetario Europeo (SME) di cui facemmo parte, salvo gli anni in cui dovemmo uscirne per la svalutazione della lira nel 1992.
Deficit primari cronici e alti
Prima ancora, vale a dire tra il 1944 e il 1971, la lira e le altre divise occidentali erano fissate al dollaro a un tasso di cambio fisso. A sua volta, il dollaro era convertibile in oro. In pratica, ai tempi della lira non c’era affatto la sovranità che pensiamo di ricordare. Vi fu una fase caotica e confusa tra il 1971 e il 1979, di transizione dall’Accordo di Bretton Woods allo SME, che nessuno in Europa rimpiange.
Perlomeno, eravamo padroni del nostro debito pubblico. Siete così convinti? Negli anni Settanta e Ottanta l’inflazione italiana fu altissima, in doppia cifra dal 1973 (compreso) al 1984 (compreso). Le crisi petrolifere del ’73 e ’79 accesero la miccia. Il resto lo fece l’accomodamento monetario della Banca d’Italia, costretta a finanziare gli alti deficit dei governi di turno. Ciò avvenne fino al “divorzio” con il Tesoro del 1981. I governi spendevano tanto, ma proprio tanto. Al netto degli interessi sul debito, il deficit annuale fu del 3,3% rispetto al Pil negli anni Ottanta. A titolo di confronto, il 2024 ha chiuso in avanzo primario dello 0,4% e prima del Covid eravamo sopra l’1,5%.
Monetizzazione del debito e interessi alle stelle
Alti deficit provocano alti tassi d’inflazione per il tramite della monetizzazione. Bankitalia comprava tutto il debito invenduto alle aste, finendo con lo “stampare moneta”. Ciò era percepito male in patria e all’estero. Chi acquistava BTp, lo faceva per scadenze corte e pretendendo rendimenti alti. Un modo per proteggersi dall’alta inflazione, oltre che dal rischio di credito. C’era anche la paura per le frequenti svalutazioni del cambio. Ai tempi della lira, infatti, poiché anche sotto lo SME avevamo tassi d’inflazione molto più alti dei nostri partner europei, ogni due e tre eravamo costretti a svalutare per ridurre la perdita di competitività.
Quale fu l’effetto di questi squilibri? La spesa per interessi raddoppiò negli anni Ottanta all’8,8% del Pil (4% nel 2024), valendo alla fine del decennio l’80% del deficit. Questo era esploso all’11% del Pil, portando il rapporto debito/Pil dal 55,9% al 92,3%. Lo stato faceva così tanti debiti che non riusciva più a piazzarli sul mercato domestico. Almeno, non tutto in lire. Ed ecco che dovette ricorrere a crescenti emissioni di BTp in valuta estera, praticamente in dollari. Un modo per rassicurare gli investitori da inflazione e svalutazione e trovare fonti certe di finanziamento.
Ai tempi della lira con debiti in dollari
Il debito in valuta estera ammontava solamente allo 0,50% del Pil nel 1980, meno dell’1% del totale. Nel 1995 culminava all’8,4%, corrispondente al 7% dello stock. In valore, più di 83 miliardi degli attuali euro. Altro che sovranità! Ai tempi della lira fummo costretti in misura crescente a rivolgerci ai mercati internazionali per indebitarci. Oggi, l’indebitamento non in euro vale appena lo 0,1% del Pil. La conseguenza fu che ad ogni svalutazione della lira, il valore di quel debito cresceva in rapporto al Pil e contribuiva a peggiorare i nostri saldi fiscali. Va bene la nostalgia, purché si abbia l’onestà di ricordare tutto senza alcuna memoria selettiva.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

