Dopo la pausa di luglio si allontana la probabilità di un nono taglio dei tassi di interesse nell’Eurozona. I contratti forward misurano l’andamento atteso dell’Euribor a 3 mesi (e altre scadenze) sul mercato. Esso a sua volta tende a replicare i tassi fissati dalla Banca Centrale Europea (BCE) sui suoi depositi bancari. Per la fine di quest’anno era stimato ieri a 1,87%, implicando una probabilità del 48% che i tassi vengano ridotti di un altro quarto di punto percentuale dal 2% attuale. Fino a qualche settimana fa tali probabilità erano prossime al 100%. La variazione è avvenuta a seguito del raggiungimento dell’accordo sui dazi tra Unione Europea e Stati Uniti.
Il mercato teme minori contraccolpi sull’economia dell’area, ora che c’è una schiarita in merito alle relazioni commerciali con la superpotenza.
Più lontano scenario deflattivo
E i tassi nell’Eurozona sono attesi stabili anche per i primi mesi dell’anno prossimo, dopodiché tornerebbero a salire. In altre parole, la BCE non varerebbe più alcun taglio. Lo scenario di una guerra commerciale tra UE ed USA veniva percepito come tendenzialmente deflattivo per la nostra economia. Gran parte delle merci invendute sul mercato americano sarebbe stata dirottata in Europa, deprimendo temporaneamente i prezzi al consumo. La BCE avrebbe dovuto reagire alla possibile deflazione tagliando i tassi, anche per svalutare il cambio dell’euro contro il dollaro e far così recuperare competitività alle nostre imprese.
Rallenta mercato del lavoro USA
Quanto ai tassi americani, sono attesi in calo di un quarto di punto a settembre con quasi certezza. E un altro quarto di punto verrebbe tagliato entro la fine dell’anno. Per dicembre la Federal Reserve porterebbe il costo del denaro dall’attuale range 4,25-4,50% al 3,75-4%.
La svolta nella percezione degli investitori è arrivata dopo la pubblicazione dei dati sul lavoro a luglio della settimana scorsa. Sono stati creati solamente 73.000 posti non agricoli e per i due mesi precedenti è stata operata una revisione al ribasso di 258.000 unità: appena 33.000 i posti creati tra maggio e giugno.
Questi dati non implicano che l’economia americana sia in recessione, anzi il Pil nel secondo trimestre ha persino sorpreso al rialzo con una crescita tendenziale del 3% dopo il -0,5% del primo trimestre. Tuttavia, ora il governatore Jerome Powell inizia ad avere qualche appiglio ufficiale per poter tagliare i tassi a settembre. Deve solo sperare che l’inflazione per allora non continui a salire dal 2,7% di giugno. La dicotomia rispetto alla direzione attesa per i tassi nell’Eurozona sta deprimendo il cambio euro-dollaro, arrivato a scendere a 1,14 al termine della settimana scorsa. Ieri, era risalito a 1,1630. Un paio di settimane fa, però, puntava a 1,18.
Tassi Eurozona cambio-dipendenti
Il cambio inciderà sull’eventuale taglio dei tassi o meno nell’Eurozona. Le aspettative d’inflazione alla BCE dipendono anche dall’andamento dell’euro sul mercato valutario. Più è forte, minori i costi delle importazioni. Viceversa, i costi aumentano e con essi i prezzi al consumo.
Per il momento non siamo dinnanzi a variazioni clamorose. L’euro ha semplicemente smesso di apprezzarsi, ma resta nettamente più forte dei livelli a inizio anno di 1,03 contro il dollaro. La minore forza nelle ultime sedute è anche figlia della debolezza attesa per l’economia dell’area dopo l’accordo sui dazi, essendo essa basata sulle esportazioni. E se la situazione si aggravasse particolarmente, l’arma dei tassi verrebbe imbracciata dalla BCE ancora una volta per sostenere la crescita. Inflazione permettendo.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

