Nessuna volontà di aprire alle criptovalute, anzi il presidente della Consob, Paolo Savona, è tornato in questi giorni ad ammonire contro la loro legittimazione, mostrandosi contrario alla regolamentazione portata avanti sotto l’amministrazione Trump. Concetti ribaditi al Festival dell’Economia a Trento, dove non sono mancate bordate al governo sulle tensioni attorno al caso Unicredit. L’ex ministro del primo governo Conte ha altresì paragonato i token digitali alla bolla dei tulipani olandesi, i quali arrivarono a costare quanto una casa prima di crollare di prezzo. Nessun accenno al fatto che Bitcoin in molti contesti sia stato e continui ad essere sfruttato come asset per proteggersi dall’inflazione.
Savona contrario a criptovalute
Le parole di Savona risulterebbe molto poco popolari in quei contesti nei quali le monete fiat hanno svelato la loro insussistenza, provocando instabilità dei prezzi, dei tassi di cambio e perdita del potere di acquisto. Senza andare troppo lontano, ci concentriamo su due stati. Il primo è la Turchia. Per capire l’importanza di Bitcoin contro l’alta inflazione che ha afflitto l’economia anatolica negli ultimi anni, considerate questo esempio. Immaginate che agli albori delle negoziazioni della criptovaluta sui mercati – siamo nella primavera del 2016 – un cittadino turco vi avesse investito 1.000 lire. Al cambio di allora, 345 dollari.
Esempio d’investimento in Turchia
Con quella somma, avrebbe acquistato il 75% di un Bitcoin, il cui valore di mercato si attestava a circa 450 dollari. Oggi, 1.000 lire valgono appena 25,60 dollari. Nel frattempo, i prezzi al consumo sono esplosi di 11 volte, pari a un’inflazione media annua del 30,5%. In pratica, le 1.000 lire turche del maggio 2016 valevano quanto 11.000 lire oggi. Bitcoin sarebbe stato capace di proteggere dall’inflazione, dato che l’investimento oggi varrebbe 3,25 milioni di lire, quasi 30 volte in più in termini reali.
Al cambio, circa 83.240 dollari.
Esempio d’investimento in Libano
In Libano le cose sono andate persino peggio. Una potente crisi economica scatenatasi a fine 2019 ha portato al collasso del cambio e all’esplosione dell’inflazione. Immaginate anche in questo caso che un cittadino avesse nel maggio 2016 investito 1 milione di lire locali, corrispondenti allora a circa 660 dollari. Una somma capace di acquistare 1,46 Bitcoin. Oggi, l’asset varrebbe 162.000 dollari, che al nuovo tasso di cambio di 89.630 lire, fanno 14,5 miliardi di lire. I prezzi al consumo sono cresciuti in questi 9 anni di 76 volte (inflazione media annua di quasi il 62%), per cui il vecchio milione di lire equivale a 76 milioni di oggi in termini reali.
Bitcoin batte inflazione
Ebbene, anche nel caso del Libano Bitcoin batte inflazione. Grazie all’asset, oggi un cittadino libanese si ritroverebbe in possesso di una cifra reale per 190 volte più alta di 9 anni fa. Potremmo andare avanti a lungo, restando anche in Italia. Da noi l’inflazione cumulata dall’inizio delle negoziazioni di Bitcoin è stata di neppure il 22%. Tuttavia, la criptovaluta ci avrebbe consentito di mettere a frutto il nostro risparmio, facendolo lievitare di 244 volte in euro. Le alternative d’investimento sono state a lungo bond con rendimenti negativi e azioni iper-comprate.
Silenzio dalle authority, impegnate a difendere la manipolazione degli asset tramite stamperie monetarie.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


