Se sei un risparmiatore e vuoi puntare il denaro accumulato su una qualche forma di investimento, prendi in considerazione la vendita allo scoperto, che rispetto alle tecniche ordinarie ti offre alcuni vantaggi, ma è bene riflettere anche sui rischi potenziali connessi all’operazione. In un articolo precedente (leggi qui: https://www.investireoggi.it/economia/short-selling-cose-e-rischi-e-opportunita-di-una-strategia-ribassista/) vi avevamo già spiegato cosa s’intenda per vendita allo scoperto o “short selling”, se vogliamo utilizzare la terminologia inglese. Ripercorriamo brevemente i tratti salienti e concentriamo la nostra attenzione stavolta sui rischi insiti in questa forma di investimento.

In genere, quando si investe in un titolo a scopo speculativo, ovvero per lucrare dalle variazioni dei prezzi nel tempo o anche nello spazio, si spera sempre di rivenderlo a un valore superiore a quello di acquisto. Compro a 100 e vendo a 120, per esempio. Con la vendita allo scoperto, avviene esattamente il contrario: spero che il prezzo di un titolo diminuisca. Come mai?

Come funziona

Ebbene, le operazioni di acquisto e rivendita vengono invertite e, cosa ancora più importante, qui vendo sul mercato al prezzo dato un titolo, di cui non sono materialmente in possesso. Poiché dovrò pur sempre consegnarlo a chi lo acquista, me lo faccio prestare da un broker (in genere, una banca), che in cambio applicherà al prestito una commissione fissa o in percentuale del valore e del tempo dell’operazione effettuata. Entro una scadenza prefissata, dovrò restituire all’intermediario i titoli prestatimi, per cui li dovrò acquistare sul mercato secondario. Ciò significa che dovrò sperare che i prezzi siano nel frattempo scesi, così che il costo sostenuto risulti più basso della somma inizialmente incassata con la vendita dei titoli.      

Rischi illimitati da vendita allo scoperto

Esempio: vendo 1.000 azioni SPA a un prezzo cadauno di 15 euro, incassando complessivamente 15.000 euro. Poiché non dispongo di tali titoli, me li faccio prestare da un broker, il quale per l’operazione mi richiede una commissione fissa, poniamo, di 150 euro.

Pattuisco con lo stesso la restituzione delle 1.000 azioni entro 90 giorni. Al novantesimo giorno acquisto i titoli per restituirli al broker e per ipotesi i prezzi risultano scesi a 13 euro. Così, spendo 13.000 euro, ma avendone incassati all’inizio 15.000 e dovendo pagare una commissione di 150 euro, avrò ottenuto un margine di ben 1.850 euro in appena tre mesi. Non male. Occhio, però, perché se perdo la scommessa, il rischio potrebbe diventare illimitato. In che senso? Quando acquisto un titolo, scommettendo sul rialzo del suo prezzo per rivenderlo, metto in conto una perdita potenziale massima del 100% del capitale investito. Esempio: compro 1.000 azioni della società Alpha a 10 euro ciascuna, ma dopo un mese il loro prezzo si azzera, ad esempio, a seguito del fallimento dell’emittente. Avrò così perso tutti i 10.000 euro investiti. Con la vendita allo scoperto, il rischio non è calcolabile, perché la perdita potrebbe di gran lunga essere superiore al 100% del capitale inizialmente incassato (non investito, in questo caso). Perché? Vediamo un esempio: vendo allo scoperto 1.000 azioni SPA al prezzo di 15 euro ciascuna, ma a differenza del caso sopra citato, stavolta si registra un’impennata dei corsi azionari, che dopo 90 giorni esplodono a 150 euro. I dati sono volutamente eclatanti, ma necessari per rendere chiaro il concetto. A quel punto, dovrò acquistare sul mercato le azioni da restituire al broker a un costo complessivo di 150.000 euro, 10 volte la somma ricavata. In altri termini, per ogni euro inizialmente incassato, ne ho dovuti spendere 10. E teoricamente, il rapporto potrebbe tendere all’infinito, perché se c’è un limite al calo dei prezzi, non esiste un tetto a un loro aumento. Dunque, occhio ad andare corto su un titolo, senza conoscerne bene il mercato e i fondamentali.