Come viene lavorato e da dove viene il legno che diventa pellet? Che qualità ha realmente? Sono tutte domande che gli utilizzatori di questo prodotto si fanno spesso. Per fortuna ci sono degli esperti che hanno deciso di fare una vera e propria inchiesta confrontando 12 marchi che producono tale materiale atto a riscaldare i nostri appartamenti. Vediamo cosa si è scoperto.

Un’inchiesta importante

Sono circa 3 milioni le tonnellate di pellet che ogni anno vengono consumate da circa 2 milioni di stufe.

Uno studio risalente allo scorso anno effettuato dall’Istat ci dice che il pellet è utilizzato in tutte le regioni del paese. La regione che più di tutte però se ne serve è la Sardegna, con il 23,8% delle famiglie che lo acquistano. A seguire abbiamo la Valle D’Aosta con il 15,6% e l’Umbria con il 15,4%. Ci sono poi regioni che sembrano aver recepito meno la sua utilità, che è fondamentalmente quella del risparmio. A tal proposito vi ricordiamo che esiste anche il pellet di girasole, probabilmente più economico di quello di legno. Come dicevamo, non mancano regioni che non arrivano nemmeno al 5%, e sono Puglia, Sicilia, Emilia-Romagna e Lombardia.

Ma veniamo alle prime domande importanti: il pellet è davvero sostenibile? Tutti e 12 i marchi protagonisti dell’indagine hanno la certificazione ENplus/A1, ossia il documento che garantisce per la qualità del prodotto. Solo due però hanno affermato di avere anche la certificazione Pefc (Programme for the endorsement of forest certification schemes), che attesta la provenienza della materia prima legnosa da selvicoltura sostenibile. Nasce indi spontanea la domanda sulla sostenibilità del prodotto. Secondo gli esperti che hanno effettuato tale analisi, parliamo de Il Salvagente, non si può parlare di giudizio sufficiente. Quindi in merito alla sostenibilità del pellet rimangono molti punti interrogativi. A tal proposito, benché l’UE l’ha inserito nella direttiva delle energie rinnovabili, il dibattito è acceso e molti ambientalisti ritengono che, oltre a creare danni alle foreste, può essere anche pericoloso per l’ambiente.

Pellet, le risposte dell’inchiesta

Affidarci alle certificazioni è l’unica cosa che possiamo fare per avere un’idea più sicura del prodotto che stiamo utilizzando nella nostra casa. A tal proposito è intervenuto anche dottor Matteo Favero, responsabile area biocombustibili e certificazioni di qualità di Aiel, il quale ha spiegato che le certificazioni da prendere maggiormente in considerazione sono tre:

“In termini di qualità, la più diffusa è la internazionale ENplus, che ha avuto il suo primo motore di sviluppo in Europa. Nel 2023 è stata rilasciata in oltre 50 paesi nel mondo e con circa 15 milioni di tonnellate attese nel 2023 in termini di produzione. Per la sostenibilità, invece, possiamo trovare Fsc e Pefc”.

Per quanto riguarda la Fsc, essa fornisce informazioni sulla rintracciabilità dei materiali provenienti da foreste ben gestite e assicura che siano rispettati gli standard rigorosi in vigore. La certificazione Pefc invece è atta propio a promuovere la gestione forestale sostenibile, quindi segue standard nel rispetto dell’ambiente. Sul documento si legge:

“La certificazione Pefc del legname utilizzato per la produzione energetica – si legge nel documento – è la prima garanzia della sostenibilità dei combustibili legnosi, sia di importazione che di produzione europea e locale, esclude provenienze controverse e testimonia che i produttori hanno assunto impegni volontari che vanno oltre gli obblighi normativi. Si tratta di una certificazione ‘a monte’ della filiera legno-energia ed è garante della provenienza tracciata del legno da una gestione forestale sostenibile”.

I punti chiave…

  • da un’inchiesta emerge che ci sono molti dubbi sulla sostenibilità del pellet;
  • 12 marchi esaminati, solo due hanno specificato la provenienza del materiale;
  • gli esperti consigliano di prestare la massima attenzione alle certificazioni;
  • quelle più importanti sono tre: ENplus, Fsc e Pefc.