Nel panorama geopolitico mondiale esiste un punto nevralgico il cui destino influenza direttamente l’equilibrio energetico globale: si tratta dello Stretto di Hormuz. Questo passaggio marittimo, situato tra il Golfo Persico e il Golfo di Oman, è lungo circa 160 chilometri e si restringe fino a 33 chilometri nel tratto più angusto. È qui che ogni giorno transita una parte significativa dell’energia destinata al mondo intero.
Da questo canale passano circa 20 milioni di barili di petrolio al giorno, vale a dire quasi un terzo del petrolio trasportato via mare in tutto il pianeta. Non solo greggio, ma anche gas naturale liquefatto, in particolare quello proveniente dal Qatar, uno dei principali fornitori globali.
Il traffico include le esportazioni di Arabia Saudita, Kuwait, Iraq e degli Emirati Arabi Uniti. Ogni blocco, ogni rallentamento, ogni minaccia a questa rotta può determinare scossoni economici planetari.
La stabilità dello Stretto è da tempo oggetto di tensioni, soprattutto a causa dei rapporti conflittuali tra l’Iran e gli Stati Uniti, ma anche per il coinvolgimento indiretto di altri attori regionali. L’Iran ha minacciato più volte di bloccare lo Stretto in risposta a sanzioni, atti militari o ingerenze economiche. Anche se finora tali minacce non si sono mai tradotte in un’azione diretta, il solo rischio di una chiusura basta ad alterare i mercati internazionali e ad accendere l’allarme in molti paesi dipendenti dal greggio mediorientale.
Stretto di Hormuz e Italia tra dipendenza energetica e incertezza globale
L’Italia, pur avendo fatto progressi nella diversificazione energetica, rimane legata in buona parte all’importazione di combustibili fossili. Una quota rilevante del petrolio greggio arriva infatti da quei paesi che utilizzano lo Stretto di Hormuz come rotta commerciale.
La dipendenza non riguarda solo il petrolio ma anche il gas naturale liquefatto, la cui fornitura può essere influenzata dagli sviluppi nell’area.
Un’interruzione o anche un rallentamento del traffico marittimo nello Stretto comporterebbe un immediato aumento dei prezzi delle materie prime energetiche. Questo impatto si rifletterebbe direttamente sul costo della benzina, del gasolio e delle bollette domestiche. I cittadini vedrebbero salire i costi dell’energia, mentre le imprese dovrebbero fare i conti con maggiori spese per la produzione e la logistica.
Una crisi energetica di questa portata avrebbe effetti trasversali sull’economia italiana. L’aumento dei prezzi dei carburanti si tradurrebbe in rincari dei beni di consumo, costi più alti per il trasporto merci e pressioni inflazionistiche difficili da contenere. Anche le aziende ad alta intensità energetica, come quelle della chimica, della metallurgia e del vetro, subirebbero forti ripercussioni, con il rischio di una frenata produttiva o di una perdita di competitività rispetto ai competitor esteri.
Chiusura stretto di Hormuz, conseguenze su scala globale e le risposte possibili
Un eventuale blocco dello Stretto di Hormuz, anche parziale o temporaneo, causerebbe una reazione a catena su scala mondiale. I mercati finanziari reagirebbero con volatilità, il prezzo del petrolio salirebbe in pochi giorni anche oltre i 100 dollari al barile, e le catene di approvvigionamento verrebbero riorganizzate in fretta e furia per evitare shock troppo pesanti.
Per l’Italia, questo scenario significherebbe una nuova impennata dell’inflazione, già condizionata in passato dalle crisi energetiche internazionali. Il Governo dovrebbe valutare misure di contenimento come il ripristino di crediti d’imposta, il taglio temporaneo delle accise o interventi di sostegno diretto alle fasce più deboli. Ma questi strumenti, pur necessari, non possono sostituire una strategia energetica strutturata.
Il contesto attuale rafforza la necessità di accelerare la transizione verso fonti rinnovabili e aumentare l’indipendenza energetica nazionale. Investimenti su solare, eolico e idrogeno verde devono essere accompagnati da politiche infrastrutturali che potenzino la capacità di accumulo, l’efficienza della rete elettrica e l’interconnessione tra paesi europei.
Lo Stretto di Hormuz continuerà a essere un nodo delicato nei prossimi anni. Ma la lezione da trarne oggi è chiara: l’Italia e l’Europa non possono più permettersi di dipendere da un solo corridoio per la sicurezza energetica. Ogni crisi geopolitica deve diventare un’occasione per rafforzare il sistema, ridurre la vulnerabilità e tutelare famiglie e imprese dai rischi che si ripresentano con ciclicità.
In sintesi.
- Lo Stretto di Hormuz è il punto di passaggio del 30% del petrolio marittimo e del gas liquido del Golfo.
- Un blocco metterebbe in crisi l’Italia, aumentando costi di benzina, bollette e beni di consumo.
- Serve accelerare su energie rinnovabili e ridurre la dipendenza da fornitori instabili.


