Ancora una volta, protagonista della scena è la Corte Costituzionale. Anzi, sarebbe più corretto dire: sempre la Corte Costituzionale. In un periodo in cui le novità sulle pensioni, soprattutto le minime, latitano e restano legate a ipotesi di riforma complesse e incerte, le uniche vere innovazioni in materia previdenziale arrivano proprio da sentenze della Consulta.
Una sentenza è già stata emessa e quindi rappresenta una novità concreta e immediatamente applicabile. Un’altra, invece, è ancora attesa. Ma in entrambi i casi si parla di pensioni, trattamento minimo, importi, calcoli, aumenti e – in alcuni casi – persino di arretrati.
Pensioni minime uguali per tutti: la svolta della Consulta
Il sistema previdenziale italiano presenta da tempo una disparità evidente tra pensionati.
Una disparità che la Corte Costituzionale ha finalmente messo nero su bianco: quella tra i pensionati retributivi e quelli contributivi. In particolare, tra chi ha la pensione calcolata interamente con il sistema contributivo e chi invece con il sistema misto.
Tutto ha origine dalla data di inizio dell’attività lavorativa e dal primo contributo versato. Chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 è sottoposto non solo a regole di calcolo più penalizzanti, ma anche a criteri di accesso alla pensione più rigidi rispetto a chi ha versato contributi prima di tale data.
Estensione del trattamento minimo: cosa cambia per i contributivi puri
La sentenza n. 94/2025 della Corte Costituzionale ha sollevato un punto fondamentale: i cosiddetti contributivi puri non avevano diritto all’integrazione al trattamento minimo né alle maggiorazioni sociali, a differenza degli altri pensionati.
Oggi, chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 e percepisce, ad esempio, 300 euro al mese, continua a ricevere quella cifra, mentre chi ha versato contributi prima del 1996 – in caso di pensioni troppo basse – vede l’assegno adeguato al minimo INPS, pari a circa 603 euro mensili nel 2025.
La novità per le pensioni di invalidità previdenziale
Proprio per i titolari di pensioni di invalidità contributive, questa disparità è stata sanata. In virtù della sentenza citata, anche chi ha contributi versati solo dopo il 31 dicembre 1995 ha ora diritto all’integrazione al minimo.
Attenzione, però: la decisione della Corte riguarda esclusivamente le pensioni di invalidità previdenziali. Non si tratta di una misura generalizzata per tutti i lavoratori contributivi. Tuttavia, si tratta di un precedente giurisprudenziale importante, che potrebbe aprire la strada a futuri ricorsi anche da parte di chi percepisce prestazioni non legate all’invalidità, ma comunque calcolate col sistema contributivo puro.
Infine, è importante sottolineare che la Consulta ha chiarito che l’integrazione vale solo per il futuro: nessun effetto retroattivo, dunque, e nessun arretrato da riconoscere.
Un’altra decisione attesa: pensioni e rivalutazione parziale, si torna alla Consulta
Diversa, invece, la situazione di un secondo ricorso ancora in attesa di giudizio, che potrebbe avere effetti retroattivi. Il tema è la mancata indicizzazione piena delle pensioni negli anni 2023 e 2024, a causa di limiti imposti dal governo.
Nel 2024, la Corte si era già espressa su un ricorso analogo, ritenendo legittimo il meccanismo applicato, interpretandolo come una forma di contributo di solidarietà da parte dei pensionati con trattamenti più elevati.
In quel biennio, le pensioni superiori a 4 volte il minimo INPS (circa 2.400 euro al mese) hanno ricevuto una rivalutazione ridotta rispetto all’inflazione reale.
- Fino a 5 volte il minimo, la rivalutazione è stata dell’85%.
- Oltre 10 volte il minimo, solo del 22%.
Una riduzione che ha colpito in maniera crescente all’aumentare dell’importo della pensione.
Il nodo della progressività: cosa può cambiare con il nuovo ricorso
Il nuovo ricorso alla Corte Costituzionale non contesta il taglio in sé, ma la modalità di applicazione.
Il problema sollevato è l’assenza di progressività: la percentuale di rivalutazione è stata applicata sull’intero importo della pensione, e non per scaglioni, come avviene ad esempio per l’IRPEF.
Se la Consulta dovesse accogliere il ricorso, si aprirebbero scenari rilevanti:
- le pensioni dovrebbero essere riadeguate in base a un nuovo sistema di calcolo;
- potrebbe scattare l’obbligo di liquidare arretrati per il 2023 e il 2024.
Non si tratterebbe di una possibilità remota: se per le pensioni minime la Corte ha escluso espressamente la retroattività, in questo caso l’esito è ancora aperto, e le attese sono molto alte.