Chissà come la prenderanno adesso i sindacati e i partiti che in genere contestano l’operato del governo su tutti i fronti. Perché la Corte Costituzionale ha emanato una nuova sentenza che, di fatto, dà ragione al governo Meloni sulla nota questione della perequazione delle pensioni. E dà ragione, quindi, anche ai governi precedenti che avevano utilizzato una rivalutazione ridotta per le pensioni oltre determinate soglie.
Le pensioni, dunque, possono essere penalizzate, e legittimamente: lo hanno affermato i giudici costituzionalisti. Ecco la vicenda, cosa accade adesso e come deve essere interpretato il tutto.
Le pensioni possono essere penalizzate: via libera ai tagli, nuova sentenza della Consulta
“Il governo Meloni taglia le pensioni” e “vogliamo la rivalutazione piena dei trattamenti”: sono queste le due affermazioni alla base di scioperi e manifestazioni dei sindacati, affiancati dalle opposizioni.
Una dinamica ricorrente, indipendente dalla materia. Sarà probabilmente così anche sulla questione del referendum per la riforma della Giustizia: maggioranza accusata di attaccare i giudici e opposizioni che difendono l’autonomia della magistratura.
Se però due più due fa quattro, ecco che i giudici della Consulta confermano ora la legittimità della mancata rivalutazione piena dei trattamenti sopra quattro volte il minimo, introdotta dal governo e applicata nel 2023.
E, coerentemente, anche sindacati e opposizioni dovrebbero prenderne atto, così come chiedono alla maggioranza di rispettare le decisioni dei giudici in altri ambiti. Se bisogna rispettare le sentenze che bloccano, ad esempio, i centri in Albania, allora oggi la sinistra dovrebbe riconoscere la decisione della Consulta sulla perequazione delle pensioni.
Tradotto in pratica: le pensioni possono essere penalizzate.
La nuova sentenza numero 167 della Consulta
Ma da dove nasce la vicenda? Tutto parte dal meccanismo di perequazione, che fino al 2024 risultava particolarmente penalizzante per le pensioni poco sopra i 2.000 euro lordi. La perequazione è l’adeguamento delle pensioni all’inflazione, per compensare la perdita del potere d’acquisto. Ogni gennaio, le pensioni vengono quindi aggiornate in base ai dati ISTAT.
Nel 2025, ad esempio, i trattamenti sono aumentati dello 0,8%, ma in misura piena solo fino a quattro volte il trattamento minimo (poco più di 2.000 euro lordi al mese).
Sulla quota di pensione eccedente e fino a cinque volte il minimo, la rivalutazione è stata ridotta del 10%. In pratica, invece di essere rivalutate al 100% dell’inflazione, lo sono state al 90%. Per la parte superiore, l’aumento è stato pari al 75% del tasso di inflazione.
Un danno contenuto, soprattutto se confrontato con quello del 2023 e del 2024, anni in cui i tagli sono stati molto più pesanti e hanno generato ricorsi legali da parte dei pensionati colpiti.
Ma, come detto, secondo la Consulta le pensioni possono essere penalizzate.
Come funzionavano i tagli della perequazione e perché secondo la Consulta sono legittimi
Il meccanismo finito davanti alla Corte Costituzionale è quello che prevedeva tagli proporzionali alla perequazione in base all’importo della pensione e senza sistema progressivo. In altre parole, la percentuale ridotta si applicava all’intero importo della pensione, e non solo alla parte che superava la fascia precedente.
Nel 2023 e nel 2024 i tagli sono stati significativi:
- rivalutazione piena fino a 4 volte il minimo
- 85% del tasso di inflazione tra 4 e 5 volte il minimo
- 53% tra 5 e 6 volte il minimo
- 47% fino a 8 volte il minimo
- 37% fino a 10 volte il minimo
- 32%, e nel 2024 addirittura 22%, per le pensioni più alte
Tagli rilevanti che, con la sentenza n. 167 del 13 novembre 2025, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente legittimi.
La Corte ha infatti cancellato l’ipotesi di incostituzionalità sollevata dalla Corte dei Conti dell’Emilia Romagna, che aveva dato ragione ad alcuni ex dipendenti pubblici. Secondo i giudici costituzionali:
- la norma riduce gli aumenti, ma non taglia il trattamento (non vi è perdita patrimoniale)
- la perequazione non è un diritto assoluto
- per garantire equilibrio finanziario e favorire le pensioni più basse è legittimo penalizzare quelle più alte
Una logica, come osservato in premessa, che dovrebbe essere condivisa anche dalle opposizioni, che ad esempio contestano il taglio dell’IRPEF per il ceto medio sostenendo che favorisca troppo i redditi più elevati.
