Al momento tutto è ancora vago, ma se il governo Meloni porterà avanti i progetti in materia previdenziale, parlare di una vera e propria riforma delle pensioni non sarà affatto azzardato. A prima vista le novità allo studio possono sembrare limitate; in realtà, lette con attenzione, potrebbero tradursi in un cambiamento epocale.
Molti considerano poco utile estendere la pensione a 64 anni a tutti i lavoratori, e non solo ai contributivi puri. Eppure significherebbe offrire anche ai misti i vantaggi finora riservati a chi ha iniziato a versare dopo il 1995. Per questi ultimi, infatti, esistono già strumenti piuttosto favorevoli per uscire prima dal lavoro.
Se poi parliamo di lavoratrici con figli, i benefici diventano ancora più rilevanti. Ma cosa significherebbe davvero estendere questo genere di opportunità anche ai misti? Vediamolo nel dettaglio.
Differenze tra contributivi e retributivi, ecco vantaggi e svantaggi dei due status
Il contributivo puro è il lavoratore che ha il primo accredito INPS dopo il 1995. Il misto, invece, ha iniziato a versare contributi prima del 1996 e ha proseguito dopo.
- I misti hanno il vantaggio di un calcolo più favorevole, poiché una parte della pensione è basata sulle ultime retribuzioni e non solo sui contributi versati. Inoltre, possono accedere a maggiorazioni sociali e integrazioni al trattamento minimo, che garantiscono importi più dignitosi.
- I contributivi puri, invece, non hanno diritto a queste integrazioni.
Molti i vantaggi per chi ha cominciato in epoca contributiva
Il sistema contributivo, tuttavia, offre vantaggi unici. Ad esempio, consente di andare in pensione a 71 anni con soli 5 anni di contributi. Questo è un beneficio importante per chi, con meno di 20 anni di versamenti, non riuscirebbe a centrare il requisito minimo dei 20 anni per la pensione di vecchiaia a 67 anni.
Estendendo questa possibilità anche ai misti, si eliminerebbe una storica disparità di trattamento.
Altro vantaggio dei contributivi è la pensione anticipata contributiva a 64 anni, oggi riservata solo a chi non ha contributi prima del 1996. Su questo il governo sembra già deciso:
- portare da 20 a 25 anni i contributi richiesti;
- consentire l’uso del TFR come rendita o della previdenza complementare;
- fissare come soglia minima una pensione pari a 3 volte l’assegno sociale.
Uniformare i vantaggi del sistema contributivo anche ai misti: pensioni 2026 a 64 anni allargate davvero a tutti?
La vera novità non sarebbe solo l’estensione della pensione a 64 anni a tutti, ma l’eliminazione delle differenze strutturali tra contributivi e misti.
Se la riforma andrà in porto, anche i lavoratori misti potrebbero beneficiare:
- degli sconti di 4 mesi per ogni figlio destinati alle lavoratrici madri, fino a un massimo di 16 mesi;
- della possibilità di uscire già a 62 anni e 8 mesi, sfruttando i benefici previsti per le madri con più figli;
- dell’applicazione dei coefficienti di calcolo più favorevoli, oggi riservati solo ai contributivi (ad esempio, usare il coefficiente dei 66 anni pur uscendo a 64 anni in presenza di almeno due figli).
Una prospettiva che, se confermata, trasformerebbe davvero il quadro previdenziale, rendendo le pensioni 2026 una svolta non solo formale, ma sostanziale.
