Nel sistema previdenziale italiano, le misure di pensionamento sono talmente numerose e frammentate che spesso esistono possibilità di uscita anticipata di cui molti lavoratori non sono nemmeno a conoscenza. E mai come oggi, con il ritorno all’orizzonte degli inasprimenti dei requisiti dopo la nuova legge di Bilancio, la prospettiva di anticipare il pensionamento rappresenta uno dei desideri più diffusi tra i contribuenti.
Un nostro lettore ci ha scritto chiedendo se sia ancora possibile sfruttare i prepensionamenti aziendali, misure che in passato hanno permesso di lasciare il lavoro con anni di anticipo grazie al contributo economico dei datori di lavoro.
Tuttavia, questi strumenti oggi sono meno diffusi, e in alcuni casi non più attivi.
“Buonasera, nel 2026 compirò 62 anni e mi chiedevo se esistono ancora gli scivoli aziendali per andare in pensione prima. Temo che tutto possa peggiorare, visto che già si parla di un aumento dell’età pensionabile dal 2027, e io arriverei ai 67 anni solo nel 2030.”
Pensione 5 anni prima, a 62 anni o con 37 anni e 10 mesi di contributi: si può ancora?
Era nell’aria che dal 2027 i requisiti per le pensioni sarebbero aumentati. E anche se il governo aveva promesso di bloccare gli incrementi, ha poi optato per una soluzione intermedia: i tre mesi di aumento previsti scatteranno solo nel 2028, mentre nel 2027 l’aumento sarà limitato a un mese.
Il nostro lettore, tuttavia, guarda oltre: per lui la pensione di vecchiaia arriverebbe nel 2030, quando con ogni probabilità ci saranno nuovi adeguamenti. Il pensionamento si allontana sempre di più, e la paura di non riuscire a lasciare il lavoro in tempo è comune a molti lavoratori.
Da qui il crescente interesse verso soluzioni alternative, come ammortizzatori sociali, sussidi ponte o esodi incentivati, che permettono di accompagnarsi alla pensione con qualche anno di anticipo.
Accompagnamento alla pensione da 2, 5 o persino 7 anni prima
Ci sono diversi strumenti che consentono di uscire anticipatamente dal lavoro, anche senza percepire subito la pensione piena. Ad esempio, chi viene licenziato può accedere fino a due anni di NASpI. In pratica, chi si trova a meno di due anni dalla pensione di vecchiaia (67 anni, o 67 anni e 3 mesi dopo il 2028) può lasciare il lavoro e vivere il periodo di transizione grazie all’indennità di disoccupazione.
Ma il riferimento del nostro lettore riguarda i cosiddetti esodi incentivati, strumenti che le aziende utilizzano per rinnovare il personale, favorendo l’uscita dei lavoratori più anziani. In questo ambito, due misure hanno avuto un ruolo importante: il Contratto di espansione e l’Isopensione. Entrambe consentono di anticipare la pensione di 5 o addirittura 7 anni, ma oggi la loro applicabilità è diversa.
Contratto di espansione chiuso: stop ai prepensionamenti con questa misura
Va detto subito che il Contratto di espansione non è più attivo. Nonostante i vari tentativi di riattivazione o potenziamento, la misura oggi non è operativa. Ed è proprio a questo strumento che il nostro lettore sembra riferirsi.
Il Contratto di espansione consentiva di andare in pensione fino a 5 anni prima dell’età pensionabile, cioè a partire dai 62 anni.
Oppure 5 anni prima del requisito contributivo per la pensione anticipata. Ovvero 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. In quest’ultimo caso, bastavano 37 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini o 36 anni e 10 mesi per le donne.
La misura prevedeva che le aziende con almeno 50 dipendenti stipulassero un accordo con i sindacati presso il Ministero del Lavoro, per prepensionare i lavoratori prossimi alla pensione. L’INPS erogava il trattamento economico, ma era l’azienda a sostenerne i costi, inclusi quelli relativi alla copertura figurativa dei contributi mancanti.
Un meccanismo efficace ma oneroso, che oggi non è più disponibile.
Non 5 ma 7 anni prima: l’Isopensione è ancora attiva
Diversa la situazione dell’Isopensione, che resta attiva almeno fino al 2026. Questo strumento consente di anticipare la pensione fino a 7 anni. Ma solo in presenza di accordi aziendali con le parti sociali e per aziende con almeno 15 dipendenti.
L’Isopensione viene generalmente utilizzata da aziende in crisi o in fase di ristrutturazione. Spesso nell’ambito di licenziamenti collettivi o piani di riorganizzazione aziendale. In questi casi, il datore di lavoro si impegna a versare mensilmente all’INPS una somma pari alla pensione che il lavoratore avrebbe percepito. E in più la contribuzione figurativa fino al raggiungimento dei requisiti ordinari.
In sostanza, l’Isopensione rappresenta ancora oggi l’unico vero strumento di prepensionamento aziendale attivo. Quello capace di anticipare la pensione fino a 7 anni e di offrire un’uscita dignitosa ai lavoratori in esubero. Purché vi sia la disponibilità economica dell’azienda e un accordo sindacale approvato.
Per chi, come il nostro lettore, guarda al 2026 come anno cruciale, questa potrebbe essere l’unica strada concreta per anticipare la pensione in modo regolare e sostenuto.