Il 2023 sarà un anno impegnativo per il Tesoro, il quale dovrà convincere i mercati ad affidargli 500 miliardi di euro del loro denaro per rifinanziare tutto il debito pubblico in scadenza e per emetterne di nuovo a copertura del disavanzo fiscale. Numeri che fanno tremare i polsi, se solo si pensa che nel frattempo la Banca Centrale Europea (BCE) sta alzando i tassi d’interesse e ritirandosi dal mercato dei bond con la riduzione dei riacquisti alla scadenza. Secondo le linee guida pubblicate dal Ministero di economia e finanze a dicembre per il nuovo anno, ci saranno maggiori emissioni di BTp green nel 2023 rispetto al 2022.

Lo scorso anno, il Tesoro raccolse 8 miliardi di euro. L’anno precedente, i miliardi raccolti erano stati 13,5 miliardi. In quel caso, si ebbero due emissioni per la medesima scadenza: il collocamento del BTp green 2045 fu riaperto mesi dopo. Invece, il BTp green 2035 è rimasta l’unica emissione del 2022.

Per quest’anno, il Tesoro s’impegna a valutare sia una nuova emissione tout court, vale a dire una nuova scadenza, sia la riapertura dei bond già in circolazione sul mercato. I BTp green, come sappiamo, sono titoli del debito perfettamente simili a tutti gli altri. L’unica differenza consiste nell’utilizzo dei proventi raccolti dallo stato per finanziare voci di spesa a favore dell’ambiente. Si tratta di una strategia ormai collaudata sui mercati per segnalare l’intenzione concreta di combattere i cambiamenti climatici puntando sul disinquinamento.

BTp green per attirare più capitali

Ma dietro ai BTp green c’è dell’altro, così come d’altronde dicasi per i green bond in generale. Ed è lo stesso Davide Iacovoni, responsabile per il debito pubblico del Tesoro ad ammetterlo. Egli spiega che questi titoli attirano “il 20% di investitori in più” rispetto a quelli che altrimenti sarebbero interessati a partecipare alle emissioni.

Il vero obiettivo del governo è sostanzialmente questo: trovare strumenti finanziari che attirino quanti più capitali possibili. Ad essere interessati nello specifico sono gli investitori istituzionali, laddove per le famiglie conta esclusivamente il fattore rendimento.

Banche, fondi e assicurazioni devono guardare, invece, anche alla propria reputazione e rispondere alle sollecitazioni che arrivano dal mercato. La sensibilità sui temi ambientali è cresciuta notevolmente negli ultimi anni tra le persone comuni. E molte di coloro che investono pretendono che il loro denaro non alimenti l’inquinamento e, anzi, che finanzi il disinquinamento. Da cui l’approvazione di statuti con finalità cosiddette ESG, che impegnano aziende e fondi a comportarsi di conseguenza sul piano degli investimenti. Persino la BCE sta mutando policy, prestando particolare attenzione ai green bond in fase di acquisto. E questo è stato un segnale chiaro lanciato ai governi dell’Eurozona circa l’opportunità di puntare sui titoli del debito “verdi”.

I BTp green possono essere l’escamotage per rifinanziarsi sui mercati a costi più bassi o almeno avendo la disponibilità di una domanda più alta. Se serve anche a proteggere una quota crescente del debito dai disinvestimenti della BCE, ben venga. Gli stati stanno sì reagendo ai cambiamenti climatici, ma le emissioni di green bond sono perlopiù dettate da obiettivi ruffiani. E poiché così fan tutti, non si può restare indietro o si finisce per essere penalizzati dal mercato.

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