Mancano tre settimane alle elezioni presidenziali in Argentina, che dovrebbero decretare, magari già al primo turno, la vittoria di Alberto Fernandez, il candidato peronista che batterebbe il presidente uscente Mauricio Macri del centro-destra. I “Tango bond” sono entrati in fibrillazione ad agosto, quando le primarie hanno registrato il predominio schiacciante del primo, spegnendo le speranze dei mercati di ritrovarsi Macri a Casa Rosada per i prossimi 4 anni. Le tensioni finanziarie sono diventate così gravi, che un mese fa si sono resi necessari controlli sui capitali, una smentita delle politiche liberali sin qui seguite dal governo.

Il default dell’Argentina è un brutto pasticcio della banca centrale

E sempre Buenos Aires ha comunicato al Fondo Monetario Internazionale che intende attuare un “reprofiling” del debito contratto per 57 miliardi di dollari nel 2018 e già sborsato da Washington per 44 miliardi. Un antipasto di quanto accadrebbe subito dopo le elezioni ai creditori privati, chiunque vincesse. Fernandez cerca di allontanare da sé l’immagine di politico poco rispettoso dei mercati, sostenendo che non vi sarebbe alcun bisogno di ristrutturare il debito sovrano. In pochi gli credono e, comunque, nemmeno se Macri restasse alla presidenza si sfuggirebbe a una molto probabile ristrutturazione delle obbligazioni su debiti per circa 100 miliardi di dollari.

I tipi di ristrutturazione possibile

Le ipotesi in voga sarebbero diverse. La meno negativa per gli attuali obbligazionisti consisterebbe nella sospensione dei pagamenti delle cedole o nel loro taglio percentuale per 3-4 anni, così da consentire ai conti pubblici argentini di respirare. Ma anche un allungamento delle scadenze non verrebbe escluso, chiaramente dei bond in scadenza nei prossimi anni, così da ridurre o anche azzerare il fabbisogno di capitali da raccogliere sui mercati internazionali. Infine, il colpo più duro: l'”haircut” in stile greco e ucraino, vale a dire il taglio del valore nominale dei bond. Di quanto? Atene ci andò pesante nel 2012 con un netto 53,5%, Kiev si è limitata al 20%.

Si consideri, però, che Buenos Aires non avrebbe un vero problema di sostenibilità del debito, prossimo alla soglia del 100% del pil, quanto di liquidità.

Per questo, non tutti gli investitori si mostrano convinti che alla fine la ristrutturazione passi per un taglio dei bond, semmai per la sospensione/riduzione dei pagamenti delle cedole e l’allungamento delle scadenze. E gli obbligazionisti cosa pensano? A guardare i grafici dei prezzi negli ultimi due mesi, verrebbe da credere che effettivamente scontino criticità perlopiù legate ai prossimi anni. Il bond in dollari con scadenza 2022 ha ceduto il 48,4% rispetto alla seduta precedente alle primarie di agosto, mentre quello in euro in scadenza nel 2024 ha perso il 45,5%. Scendono al 41% le perdite per l’altro bond in euro, quello da rimborsare al 2033, così come per l’altro nel 2038 arretra “solo” del 32%, 10 punti in meno del titolo a 100 anni.

Argentina: S&P taglia rating credito sovrano a ‘SD’

In realtà, è pur vero che le alte probabilità di default tendano a sfavorire specie le scadenze più ravvicinate, che sarebbero le più esposte alle intemperie finanziarie. Nel caso specifico, però, probabile che ci si attenda minori perdite per i titoli più longevi, magari solo in forma di cedole sospese, mentre per quelli più corti s’ipotizzerebbe anche un “haircut” o un rinvio delle date di rimborso per il capitale, che nei fatti equivarrebbe a ridurne il valore attualizzato. Per indorare la pillola, comunque, non è escluso che il prossimo governo adotti un mix delle suddette misure, ovvero abbassi la percentuale delle cedole sborsate o ne sospenda i pagamenti per un po’ di anni, allunghi le scadenze e riduca con la mano leggera il valore nominale dei bond.

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