Ieri, la Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato il settimo aumento consecutivo dei tassi d’interesse. Era un intervento scontato, così come da giorni se ne prevedeva l’entità: 0,25%. Di fatto, pur se l’inflazione nell’Area Euro rimane “troppo alta per un periodo prolungato”, a detta del comunicato finale del board, è iniziata anche a Francoforte la fine della stretta monetaria. Il giorno prima, la Federal Reserve alzava i tassi dello 0,25% e annunciava una pausa per il prossimo board di giugno.

Non tutti avevano la certezza, invece, che la BCE avrebbe cessato del tutto i riacquisti dei bond in portafoglio con il Quantitative Easing a partire da luglio. Ciononostante, i BTp hanno retto e lo spread si è mantenuto nei pressi dei 190 punti base.

E’ stato, cioè, inasprito il Quantitative Tightening attuato a partire da marzo. Cerchiamo di capire meglio. Dal marzo del 2015 la BCE aveva acquistato fino al giugno dello scorso anno titoli di stato e obbligazioni private con la sola eccezione del 2019, quando si prese una pausa. Dal giugno del 2022 aveva interrotto il programma noto come Quantitative Easing, mantenendo i riacquisti dei bond in scadenza, BTp compresi. E dal marzo di quest’anno, aveva deciso di ridurre i riacquisti di 15 miliardi al mese rispetto alle scadenze. Queste ultime sono state stimate complessivamente in 32 miliardi al mese per il quadrimestre marzo-giugno. Ciò implica che i rinnovi nel periodo ammonteranno a meno di 70 miliardi in tutto, 60 in meno dei titoli arrivati a scadenza.

A partire da luglio, invece, lo stop sarà totale. Qualsiasi bond in scadenza non sarà rinnovato. In questo modo, la BCE intende combattere l’inflazione riducendo la liquidità sui mercati. Una botta per i titoli del debito pubblico, specie per quelli emessi dai paesi fiscalmente più fragili come l’Italia. Tuttavia, i BTp hanno reagito bene. Perché? La decisione non era stata preventivata con certezza, ma neppure ignorata.

Da settimane i “falchi” del board lasciavano immaginare una sorta di baratto con le “colombe”: stop prima dell’estate al rialzo dei tassi d’interesse in cambio di uno stop definitivo al QE.

Da cessazione riacquisti QE impatto minore su BTp

Dopodiché, vi erano due alternative preponderanti alla cessazione dei riacquisti: prosecuzione del QT al ritmo di 15 miliardi al mese anche dopo giugno; aumento del QT. Immaginiamo che il mercato avesse scontato l’ipotesi più conservativa. In quel caso, a fronte dei circa 110 miliardi di euro di titoli di stato in scadenza con il QE tra luglio e dicembre, i minori acquisti sarebbero ammontati a 90 miliardi (15 miliardi per 6 mesi). I riacquisti netti sarebbero stati intorno a una ventina di miliardi. Di questi, la quota spettante ai BTp si aggirava sui 3,5 miliardi. Azzerando i riacquisti, la BCE farà venire meno ai nostri titoli di stato domanda per un tale controvalore. Non tale da far tremare un mercato sovrano da oltre 2.300 miliardi di euro.

Questo non significa che sia stata una non notizia per i BTp. Semplicemente, l’evento negativo è insito nei prezzi da mesi. Ciò spiega la lievitazione dello spread a circa 190 punti base da tempo, quando prima dell’avvio della stretta monetaria si aggirava tra 100 e 150 punti. In caso di necessità, poi, restano attivi fino a tutto il 2024 i riacquisti con il PEPP, il programma monetario “flessibile” varato in pandemia e cessato nel marzo 2022, E, dunque, l’attenzione vera resterà concentrata nelle prossime settimane sui tassi. Vedremo se, sulla base dei futuri dati macro, la fine del QE basterà ai “falchi” o se essi, guidati dalla potente Bundesbank, esigerà nuovi aumenti. Il mercato continua a scontare ulteriori rialzi per 50 punti base, con il tasso sui depositi bancari al 3,75% entro settembre.

Non la pensano così gli obbligazionisti, se è vero che i rendimenti a due anni restano ben sotto tale tasso, con il Bund in area 2,65%.

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