Il Tesoro ha raccolto questa settimana in tutto 21 miliardi di euro alle due aste dei titoli di stato in programma tra BoT e BTp a medio-lungo termine, a cui si è aggiunto il collocamento sindacato per il lancio del nuovo BTp a 20 anni. Risultati complessivamente soddisfacenti, sebbene i rendimenti dei BTp siano saliti rispetto alle emissioni precedenti. Ad esempio, il BTp a 3 anni con scadenza 15 gennaio 2026 e cedola 3,50% (ISIN: IT0005514473) è stato piazzato sul mercato ad un prezzo di 100,75, corrispondente a un rendimento lordo annuo del 3,259%.

A dicembre, il rendimento era stato del 3,068%.

Quanto al BTp a 7 anni con scadenza 15 dicembre 2029 e cedola 3,85% (ISIN: IT0005519787), è stato prezzato a 100,67. Il rendimento esitato è stato del 3,768%, anche in questo caso in rialzo dal 3,608% di dicembre. Questi numeri ci segnalerebbero una condizione di relativo stress per il mercato sovrano tricolore. I costi di emissione crescono, per cui indebitarsi allo stato italiano conviene sempre meno. Ma i rendimenti dei BTp erano saliti a livelli ben maggiori nelle settimane passate. Il BTp a 10 anni era tornato al 4,70%, mentre nelle stesse ore in cui il Tesoro emetteva i due bond a medio-lungo termine, il rendimento scendeva nuovamente sotto la soglia del 4%. Ad un certo punto, è arrivato ad offrire meno del 3,90%.

Rendimenti BTp giù su inflazione USA

In termini di prezzo, la scadenza 15 dicembre 2032 e cedola 2,50% (ISIN: IT0005494239) è lievitata del 6% da inizio anno. Aveva concluso il 2022 a 83,17 centesimi, mentre giovedì stava in area 88,65 centesimi. Emblematico di quanto stia accadendo ai nostri titoli di stato. In scia ai cali dei rendimenti su tutti i mercati avanzati, i BTp stanno apprezzandosi in misura maggiore. Lo rivela il restringimento dello spread ai minimi dalla primavera scorsa. Ieri, ad esempio, il differenziale con il Bund a 10 anni è sceso sotto 180 punti base. Era schizzato fin sopra 220 punti dopo il board della Banca Centrale Europea (BCE) a dicembre.

Cosa sta accadendo di preciso? Malgrado la retorica da “falco” di Francoforte, gli investitori iniziano a scontare un allentamento della stretta monetaria nei prossimi mesi. Il dato sull’inflazione americana a dicembre ha aiutato in tal senso. Crescita dei prezzi giù dal 7,1% di novembre al 6,5% per il sesto mese consecutivo. La Federal Reserve dovrebbe rallentare ulteriormente il ritmo con cui alzerà i tassi d’interesse e, soprattutto, la fine della stretta si sta avvicinando. Questo scenario riduce la divergenza monetaria con l’Eurozona, favorisce l’euro contro il dollaro e la pressione sulla BCE si fa meno intensa per alzare i tassi. Meno alti questi ultimi saranno al termine del ciclo restrittivo, minore il rischio sovrano per un paese molto indebitato come l’Italia. Ed ecco perché lo spread e i rendimenti dei BTp scendono.

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