E’ andato abbastanza bene il primo collocamento sindacato del nuovo anno del Tesoro. Lunedì pomeriggio, era stata annunciata l’emissione della nuova scadenza “benchmark” a 20 anni. Si tratta del BTp 1 settembre 2043. A tale proposito, era stato definito il consorzio bancario che si sarebbe occupato dell’operazione il giorno seguente: Barclays, BNP Paribas, Citibank, Goldman Sachs e Intesa Sanpaolo. La chiusura dei libri è avvenuta con ordini pari a 26,5 miliardi di euro, un multiplo dei 7 miliardi che alla fine il Tesoro ha deciso di raccogliere tra gli investitori istituzionali.

Quanto alle condizioni esitate, il BTp 2043 è stato prezzato a +12 punti base (+0,12%) sopra il rendimento dell’attuale benchmark ventennale, vale a dire la scadenza 1 marzo 2041 e cedola 1,80% (ISIN: IT0005421703). Pertanto, la cedola lorda è stata fissata al 4,45% annuale e il prezzo di collocamento è risultato essere di 99,606 centesimi, corrispondente a un rendimento del 4,529%. In perfetta linea con le nostre previsioni della vigilia. La data di regolamento è stata fissata per giorno 17 gennaio.

Il BTp 2043 sarà, come dicevamo, il prossimo riferimento per la scadenza a 20 anni. Ricade su un segmento temporale poco battuto finora dallo stato italiano. In effetti, tra i numerosi bond sovrani emessi dal Tesoro ve ne sono solamente due che scadono nel 2041, di cui uno indicizzato all’inflazione Eurostat. L’altro immediatamente successivo scade nel 2044.

Confronto cedola BTp 2043 e inflazione

Una cedola del 4,45% si traduce in un tasso d’interesse annuo netto di quasi il 3,90%. Può anche risultare poco appetibile con un’inflazione italiana ancora all’11,6% nel mese di dicembre. Ma a parte che al BTp 2043 non ci sarebbero alternative di pari grado di rischio altrettanto remunerative, bisogna guardare al lungo periodo. Negli anni, l’inflazione si assesterà auspicabilmente intorno al target BCE del 2%, mentre il rendimento del bond resterà il medesimo fino alla scadenza.

Come abbiamo anticipato, a queste condizioni il BTp 2043 può rivelarsi un buon investimento speculativo.

Anziché attendere i venti anni per ottenere il rimborso alla scadenza, si può sempre puntare a rivenderlo sul mercato secondario a quotazioni più elevate. E ciò appare abbastanza verosimile, se si considera che solamente un anno fa il bond ventennale in Italia offrisse appena l’1,85%. E due anni fa non andava oltre l’1,10%.

Solo il surriscaldamento dell’inflazione ai massimi da quaranta anni a questa parte ha spinto in alto i rendimenti e in basso i prezzi. Ma se davvero, come sostiene la Banca Centrale Europea, si tratta di un fenomeno transitorio, pur meno di quanto inizialmente sostenuto, i rendimenti non potranno che ripiegare. Magari non torneranno ai livelli pre-bellici, ma almeno scenderanno dai massimi dal 2014 raggiunti in queste settimane. A tutto favore dei prezzi.

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