Sono schizzati a 12.500 miliardi di dollari i bond di tutto il mondo ad esitare sul mercato rendimenti negativi, poco meno del picco di circa 12.600 miliardi toccato nell’estate 2016. La grossa notizia di questi giorni è la discesa del Treasury a 10 anni sotto il 2% per la prima volta dal novembre 2016, quando Donald Trump vinse a sorpresa le elezioni presidenziali americane. Nell’Eurozona, oltre la metà dei titoli di stato offre rendimenti sottozero e circa un quinto delle obbligazioni societarie. I rendimenti italiani continuano a rimanere relativamente elevati, ma il BTp a 10 anni ieri si è portato a un minimo del 2,02%.

Lo stesso trentennale rende poco meno del 3%.

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Le prospettive per i BTp sono certamente legate alle tensioni politiche nella maggioranza giallo-verde da un lato e a quelle sul deficit tra Roma e Bruxelles dall’altro, ma c’è un segnale a cui tutta la finanza mondiale guarda e che, se arrivasse, farebbe scattare una probabile corsa agli acquisti di carta italiana, e non solo: il Bund a 30 anni. La curva delle scadenze in Germania offre rendimenti negativi fino a ridosso dei 20 anni. Sono ormai pochissimi i titoli tedeschi che rendono sopra lo zero. Quelli a 30 anni viaggiano ai minimi storici dello 0,25%. Si pensi che 3 anni fa, quando i Bund toccarono il livello di rendimento più basso della loro storia, il trentennale stava eppure allo 0,34%.

E nel 2019 aveva esordito allo 0,85%, ma da allora ha perso 60 punti base. Stando alle previsioni del mercato, vi sarebbe una probabilità su tre che scenda sottozero entro l’anno prossimo. Tuttavia, con l’inversione a U della BCE e delle altre banche centrali principali sui tassi, le condizioni di riferimento stanno cambiando drasticamente e velocemente nel panorama finanziario internazionale, come dimostrano gli stessi Treasuries.

Tutti gli occhi puntati sulla curva tedesca

Se il Bund a 30 anni rendesse anch’esso negativamente, non ci sarebbe più alcun bond tedesco a offrire rendimenti positivi.

Per quanto molti investitori istituzionali sarebbero ugualmente costretti a detenere a bilancio carta della Germania per ragioni di qualità degli assets, d’altro canto dovrebbero anche uscire fuori dai confini tedeschi per cercare di portare a casa un minimo di remunerazione per i clienti. Ecco, quello sarebbe un segnale molto “bullish” per i BTp, in quanto tra i principali destinatari potenziali dei flussi di capitali a caccia di rendimento. Peraltro, a differenza del resto della periferia dell’Eurozona, escludendo la Grecia, in cui i bond prezzano già a livelli alti e implicano forti rischi nel caso di disinvestimento anticipato, non lo stesso dicasi per l’Italia, che presenta spread a 3-4 volte i valori spagnoli e portoghesi.

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I rendimenti italiani sono negativi ancora solamente fino ai 18 mesi, quando in Spagna si arriva ai 6 anni e presso le altre principali economie a non meno di 10. Insomma, siamo molto indietro e, al netto dell’evoluzione critica sul piano politico ed economico, disponiamo di enormi spazi di crescita dei prezzi. Probabile che l’eventuale corsa ai BTp scatti già nel caso in cui il governo fosse in grado di evitare l’apertura della procedura d’infrazione per eccesso di debito a luglio, pur frenata dalla consapevolezza degli investitori di una manovra fiscale tutt’altro che semplice da varare entro metà ottobre e che senza un ampio accordo politico con la Commissione porterebbe a nuove, forti tensioni tra le parti come nell’autunno scorso. Se nel frattempo il Bund a 30 anni regalasse sorprese, indipendentemente da tutto il resto, a giovarsene sarebbero anche, per non dire soprattutto, i nostri bond.

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