Chiamiamola pure battuta di arresto, ma non siamo alla crisi. È un dato di fatto, però, che per la prima volta le emissioni di green bond sono diminuite. Nel 2022, in attesa di conoscere il dato di dicembre, dovrebbero essersi attestati in area 360 miliardi di dollari nel mondo, in calo di circa il 23% rispetto al 2021. E i volumi in circolazione di tutte le obbligazioni sostenibili o ESG, vale a dire comprensivi delle emissioni degli anni precedenti che devono ancora arrivare a scadenza, sono scese da 1.500 a 1.200 miliardi di dollari.

Trattasi non solo di green bond in senso stretto, bensì anche di titoli del debito emesso per finanziare finalità sociali e di governance.

Greenium quasi azzerato

Una frenata che sa di clamoroso. Tuttavia, bisogna considerare il quadro complessivo. Nel corso del 2022, le banche centrali hanno alzato i tassi d’interesse e posto fine a oltre un decennio di politiche monetarie ultra-espansive. Avendo ridotto la liquidità sui mercati per contrastare l’ascesa dell’inflazione, i costi di emissione sono esplosi. In particolare, tra aziende e banche chi ha potuto, ha contenuto ai minimi le emissioni di nuove obbligazioni. D’altra parte, la liquidità disponibile resta ancora elevata nel sistema economico.

Tuttavia, qualcosa di apparentemente negativo starebbe accadendo sul serio ai green bond. Il cosiddetto greenium risulta essere sceso da un picco di 15-20 punti base o 0,15-0,20% a sotto la doppia cifra. Si tratta del premio spuntato dagli emittenti sulle emissioni “verdi”. In altre parole, generalmente chi emette un green bond riesce a spuntare sul mercato un rendimento inferiore a quello di una scadenza ordinaria di pari durata. Il fenomeno è stato considerato frutto sia dell’abbondante domanda su questo nuovo segmento obbligazionario, sia della scarsa offerta disponibile.

Meno green bond, più avvedutezza

In un certo senso, la discesa del “greenium” a valori quasi nulli suona come una buona notizia da più punti di vista.

In primis, perché certifica che le emissioni di green bond stanno aumentando a livelli tali da fare massa critica. Basti pensare che l’Unione Europea punta a finanziare il 30% del Recovery Fund da 800 miliardi di euro entro il 2026 con emissioni verdi per il 30%. D’altra parte, è anche possibile che l’opinione pubblica sia diventata più avveduta degli anni passati. Molte società private e banche hanno emesso green bond al solo fine di rifinanziarsi sui mercati a costi bassi, fissando obiettivi ambientali blandi e persino già in alcuni casi raggiunti. La maggiore attenzione mediatica al fenomeno del cosiddetto “greenwashing” starebbe spingendo alla prudenza sia gli investitori che gli stessi debitori. Il danno d’immagine per i trasgressori sarebbe forte.

Va detto che il “greenium” tenderà con ogni probabilità ad azzerarsi man mano che le emissioni di green bond diverranno la norma. Il mercato accetta di acquistare questi titoli con rendimento minore finché rappresentano una nicchia dell’obbligazionario. Quando saranno preponderanti, il costo di emissione diverrà sostanzialmente uguale a quello delle passate emissioni “ordinarie”. Anche perché stiamo entrando sempre più nella logica per cui il disinquinamento non sia un’operazione eccezionale, bensì una battaglia obbligata di tutti per sperare di reagire ai cambiamenti climatici.

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