Un buon portafoglio a prova di crisi sinora è stato considerato del tipo 60/40, cioè composto per il 60% dalle azioni e per il restante 40% dalle obbligazioni. Da qualche tempo, diversi analisti mettono in dubbio questo approccio, dato il contestuale boom di entrambi gli assets, i quali storicamente hanno mostrato una correlazione negativa. Concentrandoci sul 40% dedicato ai bond, dovremmo prendere in considerazione di investire in uno o più ETF. Parliamo degli Exchange-Traded Fund, fondi dalla gestione perlopiù passiva, cioè che puntano a replicare l’andamento del sottostante e non a battere il mercato.

Il portafoglio 60/40 ha ancora senso o bisogna cambiare approccio all’investimento?

Perché scegliere un ETF? Anzitutto, per diversificare un investimento, specie se di entità relativamente ridotta. Supponiamo che tu abbia 100.000 euro da impiegare per il comparto obbligazionario. Dovresti metterti alla ricerca di una sotto-classe di bond con date caratteristiche da te individuate (rendimento, rischio, valuta, etc.) e suddividere la somma tra quante sarebbero le emissioni così scovate. Un ETF ti consente di puntare su più titoli contemporaneamente senza acquistarli direttamente. Ciò alleggerisce sia la fatica in fase di investimento, sia il rischio relativo al singolo emittente.

Pregi e rischi con un ETF

Qual è l’altra grossa differenza con un fondo d’investimento ordinario, a parte la gestione passiva? La quota dell’ETF è negoziabile sui mercati al pari di un’azione, cioè può essere compravenduta nell’arco di una seduta, mentre così non è per le quote dei fondi “mutuali”, per le quali il prezzo viene fissato solo una volta a seduta. Questo consente all’obbligazionista di comprare e vendere più volte al giorno, potendo liberarsi o entrare in possesso più in fretta di una quota piuttosto in fretta.

Grazie alla gestione passiva, poi, i costi per entrare e mantenere l’investimento sono solitamente assai bassi e nettamente inferiori a quelli sostenuti per i fondi ordinari.

Fin qui, i pregi. Esistono anche alcuni possibili rischi annessi a questo tipo di investimento. Il primo riguarda gli spread denaro/lettera. Poiché le compravendite sono costanti nell’arco della giornata, non è sempre facile far incontrare domanda e offerta. Il prezzo minimo preteso dal venditore rischia di risultare decisamente superiore a quello massimo offerto dall’acquirente.

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E che dire della maggiore impulsività nel vendere per capitalizzare i guadagni virtualmente maturati o limitare le perdite? Questo è il tipico atteggiamento di chi generalmente porta a casa i risultati minori. Chi sa aspettare raccoglie i frutti maggiori. E con gli ETF risulta più facile disinvestire. Infine, bisogna far scegliere. Gli ETF non sono tutti uguali. Se si ha un portafoglio obbligazionario concentrato sulle grandi multinazionali americane, ad esempio, tanto varrebbe puntare su un ETF che replica un indice emergente o legato alle società a media capitalizzazione, così da diversificare gli investimenti e cercare di portare a casa risultati migliori e maggiormente resilienti alle crisi.

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