Il report di Bank of America conferma i dubbi che avanzano tra gli investitori sulle strategie di portafoglio. La classica allocazione 60/40, con il 60% dedicato agli investimenti azionari e il 40% a quelli obbligazionari, potrebbe non funzionare più sia oggi che in futuro. Sinora, questa ripartizione percentuale è stata percepita ideale per approfittare da un lato dell’aumento dei prezzi più vigoroso tipico del comparto azionario, dall’altro per percepire un reddito fisso grazie al comparto obbligazionario. Tuttavia, dopo il rally del secondo nel corso di quest’anno, le certezze sono svanite.

Bank of America nota, ad esempio, come verso il mercato dei bond siano affluiti 339 miliardi di dollari, mentre dai fondi azionari siano defluiti 208 miliardi, con la conseguenza che oggi ben 1.100 azioni nel mondo offrono un “dividend yield” superiore alla media dei rendimenti governativi globali.

Portafoglio obbligazionario con BTp 2037 e fondi Amundi: ho fatto bene a investirci?

Sappiamo che nelle scorse settimane, nel mondo più di 17.000 miliardi di dollari di obbligazioni sono arrivati a rendere negativamente, cioè ad infliggere perdite certe alla scadenza. Di fatto, molti investitori hanno acquistato e continuano ad acquistare bond per speculare sul rialzo atteso dei prezzi, mentre inseriscono azioni in portafoglio per percepire un reddito. E’ un ragionamento alla rovescia, che non possiamo escludere diventi duraturo per ragioni anche demografiche. Con l’invecchiamento progressivo della popolazione sui mercati maturi e l’aumento del benessere in quelli emergenti e di frontiera, i capitali disponibili abbonderanno sempre più nei prossimi decenni, premendo al ribasso sui rendimenti obbligazionari.

Portafoglio 60/40, ripartizione superata?

In un articolo recente, vi avevamo anche spiegato come un portafoglio 60/40 rischi di non tutelare più nel caso di ripiegamento dei corsi azionari, che avviene tipicamente nelle fasi di crisi dell’economia. In genere, quando ciò accade, il mercato tende a spostarsi verso il comparto obbligazionario, che salendo di prezzo consente all’investitore di almeno attutire le perdite.

Ma la situazione odierna si mostra assai diversa. Le azioni saranno anche molto apprezzate negli USA (meno in Europa), ma ovunque i bond mostrano di essere ormai “iper-comprati”, tanto che i rendimenti sul tratto lungo della curva, nel migliore dei casi, a mala pena copre dall’inflazione.

Ne consegue che ulteriori rialzi obbligazionari sarebbero impensabili e che, quindi, se e quando dovessimo accusare un calo marcato delle azioni, non vi sarebbe più modo di compensarlo con un rally dei bond. Il discorso vale particolarmente per Europa e Giappone, dove le obbligazioni sono diventate carissime e avrebbero margine bassissimo o nullo per continuare a salire. Negli USA, invece, i rendimenti appaiono ancora grosso modo normali, per quanto i Treasury a 30 anni abbiano toccato i minimi storici nelle settimane passate. In un certo senso, Europa e Giappone dovrebbero accusare minori cali azionari non compensati da rialzi obbligazionari, mentre gli USA potenzialmente sarebbero esposti a crolli azionari più violenti, ma almeno parzialmente compensabili con un prosieguo del rally obbligazionario.

Cosa faccio se ho obbligazioni con rendimenti negativi in portafoglio?

Prendete Wall Street: il “dividend yield” dell’indice S&P 500 si attesta al momento all’1,91%, una percentuale molto bassa, segno che le azioni prezzano a oltre 52 volte il dividendo staccato mediamente negli ultimi 12 mesi. Ma al contempo bisogna acquistare un Treasury dai 15/20 anni insù per spuntare un rendimento annuo simile, per cui vale quanto dicevamo sopra, anche perché le società avrebbero modo di frenare solo in minima parte i deflussi dei capitali nel caso di crollo della borsa, aumentando il “payout”, la quota di utili distribuita e che nel 2018 per le S&P 500 è stata pari a poco più del 36%, sebbene ciò avverrebbe a fronte di un valore assoluto degli utili calante.

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