Lo scorso 19 maggio c’era una certa tensione nell’aria. Era venerdì e a borse chiuse Moody’s avrebbe dovuto comunicare l’aggiornamento del rating per i titoli di stato italiani. Non è accaduto. Insieme ai bond di Malta e della città di Zagabria ha preferito rinviare il suo giudizio. Soltanto poche settimane prima aveva messo in guardia il governo italiano dal rischio di declassamento del debito pubblico a “junk” o “spazzatura”. Infatti, l’agenzia è la più severa tra quelle che giudicano i nostri bond.

Assegna loro il rating Baa3, il gradino più basso dell’area “investment grade”. E per giunta con prospettive “negative”, cosa che prelude di solito ad un possibile declassamento.

Il mancato aggiornamento del rating è stato considerato positivo per i nostri titoli di stato. I rendimenti sono scesi dal picco raggiunto prima di quel venerdì. Questa settimana sono arrivati fino a poco più del 4%. D’altra parte, il giudizio sospeso resta sempre una spada di Damocle sui nostri conti pubblici. Ad ogni modo, questo mercoledì abbiamo compreso le ragioni di quel comportamento di Moody’s apparentemente anomalo.

Titoli di stato favoriti da crescita PIL

L’agenzia prevedeva a febbraio una crescita del PIL solamente dello 0,3% per quest’anno e un pesante -0,6% nel 2024. Questa settimana, ha comunicato le nuove previsioni: +0,8% nel 2023 e +0,4% l’anno prossimo. Per il biennio in corso siamo passati da un complessivo -0,3% a +1,2%. Un robusto upgrade, che evidentemente ha spinto Moody’s, se non a cambiare idea, almeno ad andarci con i piedi di piombo nei giudizi. Più l’economia italiana cresce, infatti, maggiore la sostenibilità del nostro debito pubblico.

Tra l’altro, l’ISTAT ha migliorato la stima iniziale sul PIL nel primo trimestre da +0,5% a +0,6% rispetto al trimestre precedente e da +1,8% a +1,9% su base annua. La maggiore crescita dell’economia italiana può accelerare la riduzione del rapporto tra debito e PIL, principale indicatore a cui guardano le agenzie di valutazione internazionali per assegnare i rating.

Questo non significa che siamo fuori pericolo. Per paradosso la più alta crescita può spingere la Banca Centrale Europea (BCE) ad alzare i tassi d’interesse ancora più in alto. Ciò deteriorerebbe lo stato dei conti pubblici, prospettando finanche un taglio del rating.

Ad ogni modo, è probabile anche che Moody’s si esprimerà sui titoli di stato italiani solo quando avrà un quadro più certo delle variabili macro. Se ad una maggiore crescita del PIL corrisponderà anche una minore inflazione nell’Area Euro, le nubi sull’Italia si diraderebbero. Non ci aspetteremmo ugualmente un upgrade a breve, ma con ogni probabilità eviteremmo il “downgrade”.

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