Il governo Conte è entrato in crisi agli inizi di agosto, quando il ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini, ha presentato una mozione di sfiducia contro di esso. Sui mercati si è registrata qualche tensione, con lo spread BTp-Bund a 10 anni ad essersi impennato fino ai 240 punti base toccati e superati nella seduta del 9 agosto scorso. Tuttavia, il differenziale con i titoli tedeschi si è subito dopo ridotto e attualmente si aggira intorno ai 215 bp, ma nella settimana di Ferragosto è arrivato a scendere in area 200 bp.

In pratica, gli effetti della crisi politica non si stanno ad oggi materializzando in misura palpabile, pur considerando che lo spread dell’Italia resta il secondo più alto nell’Eurozona dopo quello della Grecia. Ma questo è un discorso non di queste settimane.

Perché la crisi di governo per ora non scalda lo spread e i rendimenti BTp

Se andiamo a guardare ai rendimenti in valore assoluto, poi, troviamo che il BTp a 10 anni rende in area 1,45%, meno di quanto non offrisse prima dell’apertura della crisi. Certo, parliamo di livelli enormemente più elevati di quelli praticamente ormai nulli di Spagna e Portogallo, che si confrontano con il -0,70% del Bund della Germania. Ad ogni modo, il “sell off” ai danni dei bond italiani non v’è stato, pur essendo note le preoccupazioni tra gli investitori sulle conseguenze che avrebbe per la nostra economia l’eventuale caduta del governo in carica.

Come mai non siamo dinnanzi a una tramutazione della crisi politica in crisi dei BTp? La prima e più grande ragione risiede certamente nella politica monetaria ultra-espansiva della BCE, che non solo tiene ancora i tassi azzerati, ma ha fatto trasparire al board di luglio l’intenzione di tagliarli ulteriormente e magari di varare nuovi stimoli, tra cui un secondo giro di “quantitative easing”. La caccia al rendimento finisce per premiare anche i titoli più bistrattati e proprio perché poco cari e ancora molto remunerativi.

Ma la BCE non è l’unico fattore di freno alla fuga dall’Italia.

Le alternative al governo Conte non spaventano i mercati

L’evoluzione della crisi di governo, infatti, sembra destinata a trovare sbocchi non sgraditi ai mercati finanziari. Ecco le ipotesi che circolano in queste settimane. Il PD ha aperto clamorosamente, tramite l’ex premier Matteo Renzi, a un esecutivo “istituzionale” con il Movimento 5 Stelle. Lo scenario piacerebbe agli investitori, in quanto metterebbe Palazzo Chigi e il Ministero dell’Economia sotto il controllo di una forza politica – il PD – europeista, non favorevole a politiche fiscali temerarie e già collaudata in anni di governo, da ultimo con l’ex premier Paolo Gentiloni.

La crisi di governo di un pazzo Ferragosto di un’Italia dell’eterno Machiavelli 

In alternativa, vi sarebbe quale esito la formazione di un governo di transizione, che vari la legge di Stabilità e conduca l’Italia alle elezioni anticipate. Anche questo scenario farebbe bene ai BTp, perché certamente sarebbe un esecutivo di garanzia per la stabilità finanziaria e sul piano fiscale. Infine, proprio le elezioni anticipate. Gli investitori non amano né la Lega e né il Movimento 5 Stelle, ma ancora meno desiderano che le due forze governino assieme, perché le loro politiche spesso antitetiche rischiano di trasformare il bilancio dello stato in una lunga lista della spesa. Stando ai sondaggi, oggi come oggi vincerebbe nettamente la coalizione di centro-destra, specie se inclusiva di Forza Italia. Insomma, nascerebbe una maggioranza parlamentare con venature fortemente “sovraniste”, ma tutto sommato rassicurante sul piano delle politiche riguardanti la spesa pubblica e le relazioni con la UE.

In definitiva, i mercati non gradiscono certamente le crisi di governo, ma è pur vero che guardano alle alternative.

E non sembra che siano peggiori dello scenario già scontato negativamente dagli stessi investitori sin dalla metà del maggio 2018.

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