Prima emissione di obbligazioni sostenibili al mondo in Cile. E’ avvenuta lo scorso 2 marzo per l’importo di 2 miliardi di dollari. Gli ordini si sono attestati a 8 miliardi, quattro volte tanto. Si è trattato di un bond della durata di 20 anni, cioè in scadenza nel 2042. Il tasso d’interesse annuo offerto è stato del 4,346%, a premio di 200 punti base sul Treasury a 20 anni.

Le obbligazioni sostenibili del Cile puntavano a raccogliere capitali da destinare al finanziamento della transizione ecologica. Il paese andino si è vincolato al raggiungimento essenzialmente di due KPI, vale a dire due obiettivi misurabili: entro il 2030 dovrà abbattere le emissioni di CO2 a non più di 95 mega-tonnellate all’anno e nel periodo 2020-2030 non dovranno essere superate complessivamente le 1.100 mega-tonnellate.

Inoltre, entro il 2028 dovrà essere centrato l’obiettivo di energia prodotta da fonti rinnovabili per almeno il 50% ed entro il 2032 la percentuale deve salire a non meno del 60%.

Obbligazioni sostenibili con cedola step up

Nel caso in cui uno dei due obiettivi non fosse raggiunto, le obbligazioni sostenibili offrirebbero dal 2034 una cedola più alta di 12,5 punti base. Se non saranno raggiunti entrambi gli obiettivi, la cedola salirà dal 2034 di 25 punti base e fino alla scadenza in entrambi i casi. Questo significa che l’investitore potrà ambire a una cedola massima del 4,596%. L’emissione è avvenuta a premio rispetto al bond sovrano cileno in dollari a 20 anni di una ventina di punti base. Con l’operazione di questo mese, il Cile ha raccolto sul mercato circa 33 miliardi di dollari in tre anni attraverso obbligazioni sostenibili o ESG.

Il Cile vanta rating elevati per il proprio debito pubblico: A per S&P, A- per Fitch e A1 per Moody’s. Dallo scorso venerdì, alla presidenza si è insediato Gabriel Boric, appena 36 anni, esponente della sinistra radicale che non ha mai governato il paese dal ritorno alla democrazia.

Per i mercati non è lo scenario migliore, specialmente se fosse attuato il suo programma fiscale espansivo e teso a ridurre il grado di libertà del mercato, che ha caratterizzato l’economia cilena sin dall’arrivo al potere di Augusto Pinochet nel 1973, dandole una dinamicità invidiata nel resto dell’America Latina.

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