Con riferimento al suo articolo di cui all’oggetto, le chiedo un approfondimento sulla svalutazione del NOK che lei attribuisce al prezzo del petrolio, ma se non sbaglio quando il petrolio stava a 40$ il NOK valeva 9,2-9,5€, mentre adesso che il prezzo del petrolio è di 60$ il NOK si è svalutato di oltre il 5/6%. Lei che dispone di mezzi di informazione migliori dei miei potrà ottenere un grafico con le 2 variabili la correlazione del prezzo del petrolio è stato il mantra del passato, ma ora a mio avviso tale correlazione è venuta meno; ipotizzo che il NOK sia manovrato.

Non conosco quanto sia il valore degli scambi in NOK e, pertanto, la potenza di fuoco necessaria, ma è evidente che una svalutazione di questo importo può solo essere voluta dall’autorità monetaria probabilmente per
sostenere le esportazioni a discapito delle importazioni, anche se una svalutazione così rilevante ha contribuito in non poca misura al tasso di inflazione del 2/3% che lei cita in alternativa. Poiché se il NOK si svaluta significa che l’offerta di NOK sia maggiore della domanda, visto dalla parte della domanda evidentemente, la Norvegia è meno
richiesta dagli investitori. Che sia per il nuovo mantra degli investimenti ambientali? Mi dica se sbaglio!

La richiesta di chiarimento del lettore sulla correlazione tra quotazioni del petrolio (Brent) e forza della corona norvegese ci consente di approfondire una tematica in sé non di immediata comprensione.

E’ vero quanto sostiene il lettore, cioè che non è detto che il rincaro/calo del greggio porti automaticamente a un rafforzamento/deprezzamento del cambio. Ad esempio, dal 2012 si è assistito a un indebolimento del cambio contro l’euro, pur a fronte di un’impennata del Brent fino a oltre 110 dollari al barile di metà 2014. Una correlazione puntuale tra i due grafici non è data periodo per periodo, anche perché su di essa incidono altri fattori, come il comportamento delle autorità monetarie e le previsioni del mercato.

Le obbligazioni della Norvegia rendono bene con la corona debole?

Volendo sintetizzare in maniera estrema, notiamo che la corona norvegese tenda a rafforzarsi sui mercati contro le altre valute, quando il Brent registra una brusca impennata e il mercato si attende che ciò impatta positivamente sull’economia scandinava. Viceversa, quando il Brent subisce un calo repentino. E allora, come mai dal tardo 2012 alla metà del 2014, il cambio norvegese perse circa il 13% contro l’euro, mentre il Brent restava sopra i 100 dollari al barile? Perché nel frattempo, sull’euro si ebbero sostanziali schiarite dopo la tempesta finanziaria che rischiò di travolgerlo nell’estate del 2012. La stessa politica monetaria accomodante della BCE degli ultimi 5 anni ha avuto un impatto positivo sull’umore del mercato verso l’Eurozona, per cui gli acquisti di beni rifugio come la corona norvegese sono venuti parzialmente meno.

Per contro, sembra che proprio dopo che il cambio si era rafforzato a doppia cifra contro l’euro fino al 2012, la Norges Bank abbia cercato di svalutarlo con interventi sul mercato forex, al fine di non subire gli effetti negativi della rivalutazione, vale a dire i rischi di deflazione e il crollo delle esportazioni non petrolifere. Tuttavia, al netto di questi ragionamenti, la correlazione nel lungo periodo sembrerebbe sussistere. E anche restringendo lo sguardo agli ultimi mesi, notiamo come il Brent abbia perso circa il 10% da luglio e il cambio contro l’euro sia scivolato del 5,5%.

Previsioni per il prossimo futuro

Quanto, infine, al dubbio se la corona norvegese sia vittima di un atteggiamento ambientalismo à la Greta, lo escludiamo del tutto. Anzi, la Norvegia è percepita dai mercati quale “porto sicuro” contro i rischi e le tensioni internazionali. Per non parlare del fatto che Oslo sia diventata anche una capitale delle politiche per la difesa dell’ambiente, un fatto apparentemente paradossale per un’economia fondata sul petrolio.

Semmai, la sua banca centrale deve tenere a bada gli eccessivi afflussi che di volta in volta tendono a materializzarsi a ogni problema nell’Eurozona e in Europa più in generale. Non dimentichiamo che per farlo dispone di un fondo sovrano da essa gestito e i cui assets valgono oltre il doppio del pil, qualcosa come oltre 1.000 miliardi di dollari. Investendo in azioni/bond europei e americani, ad esempio, si comprano assets stranieri e si offrono corone, indebolendo queste ultime.

Il petrolio tra i ghiacci li ha resi ricchi e già sono diventati “green”

In definitiva, le obbligazioni della Norvegia risentirebbero positivamente/negativamente di variazioni molto rapide e in crescita/calo del Brent. Tuttavia, se sull’Eurozona si allontanassero tensioni geopolitiche e rischi economici/finanziari, almeno parzialmente la tendenza rialzista del cambio verrebbe attutita. Ma poiché il mondo è più interconnesso di quanto pensiamo, se l’Eurozona andasse bene, il Brent stesso salirebbe, mentre se andasse male, il greggio nordico resterebbe debole. In questo secondo caso – al momento da considerarsi più probabile per il medio periodo – la corona da un lato non avrebbe ragioni per rafforzarsi, dall’altro sarebbe oggetto di acquisti contro i rischi nell’area. Una risposta scontata di per sé non esiste, a meno che non ci trovassimo di fronte a uno scenario di stagflazione, per cui l’economia mondiale si mostra debole e il greggio si rafforza sui mercati. In quel caso, ci sarebbero tutte le condizioni per comprare assets norvegesi.

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