A meno di due settimane dal primo turno delle elezioni presidenziali in Argentina, i mercati finanziari si preparano al cambio di governo, molto probabile dopo le primarie di agosto che hanno esitato la larga vittoria del candidato peronista Alberto Fernandez sul presidente uscente Mauricio Macri del centro-destra. Poiché l’economia domestica non ha fatto che peggiorare nel frattempo, difficile che il secondo abbia recuperato parte del terreno perduto. Ormai, il dubbio resta sulla vittoria di Fernandez al primo turno (con il 45% dei voti o con il 40% e distanziando il secondo arrivato di almeno 10 punti percentuali) o se bisognerà attendere la fine di novembre per arrivare a Casa Rosada.

Il mercato obbligazionario argentino quota mediamente in area 40 centesimi, implicando un “haircut” tra il 30% e il 65%, stando agli analisti. Dunque, gli investitori avrebbero già scontato la ristrutturazione di oltre 100 miliardi di dollari di debito pubblico con un taglio del valore nominale dei bond, similmente a quanto avvenne con i due accordi del 2005 e 2010 siglati con i creditori privati. Questo non significa, però, che con Fernandez presidente non vi sarebbero ulteriori crolli obbligazionari, perché la variabile che in questi casi conta non è solo legata all’entità delle perdite inflitte ai bond, bensì anche al tempo. E l’ultima volta che l’Argentina ha dichiarato default, gli obbligazionisti hanno dovuto attendere fino a oltre 8 anni prima di trovare un accordo definitivo con il suo governo, mentre i fondi “buitres” americani sono dovuti ricorrere alle carte bollate e si sono visti onorare i rimborsi dopo ben 15 anni.

Il default dell’Argentina e il brutto pasticcio della banca centrale

Verso una nuova ristrutturazione del debito argentino

A fine agosto, Buenos Aires ha rinviato il pagamento di 5,4 miliardi di prestiti ottenuti dal Fondo Monetario Internazionale, parte di un pacchetto di 57 miliardi, già incassato per circa 44 miliardi, con ciò segnalando la seria intenzione di almeno allungare le scadenze, se non anche di tagliarle nel caso degli obbligazionisti.

Se, infatti, Fernandez vincerà le elezioni, probabilissimo che rinegozierà il maxi-prestito con l’FMI, cosa che ha promesso di fare con un approccio “non ideologico”, ma all’insegna della “tutela del popolo” con azioni “ortodosse ed eterodosse”. E l’FMI, guidato adesso dalla bulgara Kristalina Georgieva, non potrà che accettare la realtà, ma pretendendo in cambio di coinvolgere preventivamente i privati nelle perdite. Va detto che le CACs, le clausole di azione collettiva apposte ai bond emessi, assegnano maggiori diritti agli obbligazionisti rispetto al 2001, ma mettiamoci in testa che se uno stato fallisce, fallisce. E dopodiché tutto diventa materia per giuristi.

C’è chi sostiene che l’Argentina abbia un problema di liquidità e non di solvibilità, cioè che debba necessariamente rinviare i pagamenti, non tagliarli. Se così è, saremmo dinnanzi a un “roll over”, non anche a un “haircut” del capitale e/o delle cedole. Tuttavia, il solo spettro della vittoria di Fernandez ad agosto ha provocato un terremoto finanziario in Argentina, colpendo pesos e obbligazioni. E minore la fiducia che il mercato riporrà nel nuovo governo, maggiori le probabilità che questi sarà costretto ad agire con l’accetta, anziché con un taglio chirurgico. Nelle ultime settimane, la calma è tornata apparente solo per effetto del ripristino dei controlli sui capitali, ma si è ampliato anche il divario tra tasso di cambio ufficiale e quello vigente al mercato nero.

Argentina in calma apparente con i controlli sui capitali, recupera il bond a 100 anni

[email protected]