L’Arabia Saudita avrebbe dato mandato ad alcune banche per l’emissione di un nuovo bond in euro da tenere per giugno. Lo riferiscono alla stampa internazionale fonti vicine al dossier, che hanno voluto rimanere anonime. Non sappiamo quale sarà l’importo offerto, ma Morgan Stanley stima che il regno si affacci sui mercati internazionali per almeno altri 6 miliardi di dollari quest’anno e fino a un massimo di 10-15 miliardi, includendo i prestiti bancari. E sempre per l’istituto americano, probabile che queste nuove emissioni saranno tutte in euro, dato che già Riad ha raccolto sui mercati 12 miliardi di dollari quest’anno.

In tutto, il regno ha fissato a 58 miliardi il suo fabbisogno da colmare, provocato dal crollo delle quotazioni del petrolio ai minimi da 20 anni e fin sotto i 20 dollari per ogni barile di Brent.

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L’Arabia Saudita riesce a estrarre già in utile a pochi dollari al barile, ma gran parte delle sue entrate fiscali è alimentata dai proventi del greggio, per cui le servirebbero quotazioni fin sopra 80 dollari per tenere i conti pubblici in ordine. Anche per questo, il governo ha deciso a marzo un taglio della spesa pubblica del 5%, oltre che un aumento del tetto del debito dal 30% al 50% del pil. Paradossalmente, per le emissioni in valute estere quest’ultima decisione appare positiva, in quanto consente al regno di non intaccare le riserve valutarie, che ancora si attestano a oltre 473 miliardi di dollari. E poiché il cambio è ancorato al dollaro sin dal 1985 da un rapporto fisso, il crollo delle esportazioni tende a prosciugare proprio le riserve, minacciando nel tempo i pagamenti dei debiti esteri.

Bond sauditi solidi

Grazie al ricorso al debito, quindi, i sauditi continueranno a tenere elevate le riserve. Quella di giugno non sarebbe la prima emissione in euro.

Nel luglio scorso, Riad raccolse 3 miliardi con un bond suddiviso in due tranche: obbligazioni con scadenza luglio 2027 e cedola 0,75% (ISIN: XS2024540622) e altre con scadenza luglio 2039 e cedola 2% (ISIN: XS2024543055). Da febbraio, le prime hanno perso il 10,7%, le seconde il 18%, salendo rispettivamente a un rendimento dell’1,87% e del 2,80%. Ricordiamo che il rating saudita si mostra relativamente elevato, pari a “A-” per S&P, “A1” per Moody’s e “A” per Fitch.

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Del resto, il debito pubblico non arrivava al 20% a fine 2019 e si attestava su livelli di oltre 300 miliardi di dollari inferiori al valore delle riserve. Certamente, la crisi petrolifera sta deteriorando piuttosto velocemente le condizioni fiscali, sebbene dai numeri emerga una situazione sotto controllo. In condizioni estreme, infatti, il regno potrebbe sempre porre fine al “peg”, svalutando di fatto il rial e aumentando per tale via le entrate petrolifere in valuta locale, risanando i conti pubblici, pur a costo di transitare l’economia per un periodo di alta inflazione. Ad ogni modo, ciò spiega perché il debito saudita vada considerato solido, come del resto segnalano anche i rendimenti non estremamente generosi offerti sulle emissioni di luglio, appena +40 e +50 centesimi sopra i nostri BTp, seppure a loro volta tra i meno cari dell’Eurozona insieme alla Grecia.

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