Se siete a caccia di rendimento e volete assumervi qualche rischio, sarebbe il caso che poniate l’attenzione alle obbligazioni Collezione di Banca IMI, emesse a inizio 2018 in dollari USA e a tasso misto (ISIN: ISIN:XS1751479426). Dalla fine di maggio, hanno guadagnato il 7,7%, beneficiando di un trend positivo certamente per l’insieme del mercato obbligazionario, portandosi ai massimi da 14 mesi. Per quanto vedremo, questo bond ha specificità tutte sue, che ne fanno un asset di potenziale interesse anche per i prossimi mesi.

Acquistabile a tagli minimi da 2.000 dollari, risulta davvero alla portata di tutte le tasche.

Obbligazioni Collezione Banca IMI, conviene tasso misto in euro o fisso in dollari?

Perché tasso misto? L’emissione di gennaio 2018 prevede una cedola fissa del 4,50% per i primi 5 anni, seguita da una cedola pari al Libor a 3 mesi in dollari per i successivi 5 anni. Al momento, la quotazione viaggia in area 95,5, cioè le obbligazioni Banca IMI si acquistano decisamente sotto la pari. Se le inserissimo oggi in portafoglio, ci porteremmo a casa con certezza 4 cedole del 4,50% ciascuna e supponendo per pura ipotesi che il Libor a 3 mesi resti invariato al 2,3% attuali dal 2023 e fino alla scadenza di gennaio 2028, avremmo registrato un rendimento medio annuo lordo di circa il 4,2%. Per nulla male, considerando le alternative perlopiù risibili.

Tuttavia, questo bond ci espone a due rischi: di cambio e di tasso. Il capitale ci verrà restituito in dollari e non sappiamo quanto varrà il cambio euro-dollaro tra 8 anni e mezzo o all’atto dell’eventuale disinvestimento anticipato. Stando allo spread Treasury-Bund, da qui al gennaio 2028 dovrebbe apprezzarsi di oltre il 21%, cioè il capitale ci verrebbe rimborsato a un valore di circa un quinto più basso rispetto a quello investito. Sottraendo tale perdita presunta dal rendimento, otteniamo che il rendimento medio effettivo all’anno scenderebbe in area 1,7%.

Ancora una volta, non sarebbe affatto male, corrispondendo a circa 180 punti base sopra il tasso “midswap” e a 55 bp sopra il BTp di pari durata.

Fattore tassi legato al cambio

Ma c’è il secondo rischio di cui accennavamo e stavolta riguarda l’andamento dei tassi americani. Il Libor è sceso dalla fine di maggio di quasi 20 centesimi di punto per la scadenza a 3 mesi, risentendo dell’attesa per il taglio dei tassi da parte della Federal Reserve. Da qui ai prossimi anni è impossibile valutare a quale livello si attesterà, dipendendo in larga parte dal ciclo economico. Possiamo dire, però, una cosa con franchezza: il rischio tassi e quello di cambio, ahi noi, andrebbero di pari passo, nel senso che il Libor scenderebbe per effetto di una politica monetaria americana più accomodante di quella di oggi e chiaramente nel caso in cui la prima economia mondiale non andasse bene. E di conseguenza, s’indebolirebbe anche il dollaro, per cui subiremmo un doppio smacco: cedole variabili più basse e capitale alla scadenza rimborsato in una valuta deprezzata.

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Per nostra fortuna, Banca IMI ha fissato un “floor” e un “cap” rispettivamente all’1,50% e al 4%. Se il Libor a 3 mesi scendesse sotto l’1,50%, la cedola sarebbe garantita a questo livello minimo, mentre se salisse sopra il 4%, la cedola resterebbe limitata a tale livello. Ovvio che dovremmo sperare, se acquistassimo queste obbligazioni, che i tassi americani dal 2023 inizino a impennarsi, così da trascinare al rialzo anche il dollaro. La risalita delle quotazioni dalla fine di maggio si deve ad aspettative divenute drasticamente più accomodanti per la stessa BCE, per cui il cambio euro-dollaro non si sta muovendo né verso l’alto, né verso il basso, restando confinato quasi esclusivamente nel range 1,12-1,14 dall’ottobre scorso.

In definitiva, le obbligazioni Collezione a tasso misto di Banca IMI in dollari sono diventate più appetibili, sia perché la cedola inizialmente fissa del 4,50% appare oggi ancora più generosa di qualche mese fa, dato l’andazzo sui mercati, sia perché il dollaro nel breve e medio termine non dovrebbe deprezzarsi (granché) contro l’euro, muovendosi le rispettive banche centrali nella stessa direzione. Fino a pochi mesi fa, invece, ci si aspettava un rialzo dei tassi BCE a fine anno e un taglio di quelli Fed nella seconda metà del 2019.

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