Ieri, l’Arabia Saudita ha dato mandato a Goldman Sachs, HSBC e JP Morgan in qualità di “global coordinators” e a BNP Paribas, Citigroup, Standard Chartered e NCB Capital come “passive joint lead managers” di collocare sul mercato obbligazioni in dollari dal taglio “benchmark”, ossia di almeno 500 milioni di dollari ciascuna, sulle scadenze a 12 e a 40 anni. La prima è stata offerta a un rendimento iniziale di 165 punti base sopra il Treasury a 10 anni, la seconda da rimborsare nel 2060 a un tasso del 3,75%, superiore al 3,50% vigente nella mattinata di ieri sul mercato secondario.

In attesa di avere conferme sul “pricing”, possiamo affermare che la tranche a 12 anni abbia offerto un rendimento di poco inferiore al 2,70%.

Il regno saudita punta a raccogliere 5 miliardi di dollari con un nuovo bond internazionale

L’andamento delle obbligazioni saudite non è stato positivo in queste prime settimane del nuovo anno, perdendo la media dell’1%. Con i capitali raccolti, Riad punta a contrastare gli effetti delle basse quotazioni petrolifere sui suoi conti pubblici e la pandemia. Anche Oman e Bahrein sono tornati a rivolgersi ai mercati internazionali nel corso di questo mese, volendo approfittare dei bassissimi costi di emissione che si riescono a spuntare in questa fase. Essi si devono all’abbondante liquidità disponibile nei portafogli degli investitori e alla caccia alla “yield” che si è scatenata negli ultimi mesi per via dell’azzeramento dei tassi negli USA e i rendimenti sempre più negativi lungo la curva in Europa e Giappone.

L’Arabia Saudita ha annunciato a inizio gennaio che taglierà ulteriormente la sua produzione di petrolio di 1 milione di barili al giorno per i mesi di febbraio e marzo, nel tentativo di sostenerne le quotazioni internazionali. Il mercato obbligazionario sovrano potrebbe avere risentito negativamente proprio di questa notizia, anche se a ben vedere l’impatto di questa decisione sui conti pubblici sauditi sembra essere marginale, quasi insignificante.

Infatti, a fronte dei 3 miliardi di dollari di minori ricavi stimabili, l’aumento delle quotazioni del Brent di una media di 5 dollari al giorno dovrebbe far introitare ad Aramco, la compagnia petrolifera statale, non meno di 2,6 miliardi in più. Il minore fatturato scenderebbe così a soli 3-400 milioni. E i mancati utili sarebbero ancora più bassi.

Il regno saudita resta finanziariamente solido

Certo, resta la forte dipendenza dell’economia saudita dal greggio. Ma il regno dispone di un fondo sovrano da 400 miliardi, che entro il 2025 dovrà tendere a 1.000 miliardi di dollari, secondo il volere del principe ereditario Mohammed bin Salman. Per non parlare dei 446 miliardi di dollari delle riserve valutarie ancora disponibili, circa il doppio dei 228 miliardi di debito pubblico. Con la “Vision 2030”, il futuro sovrano e attuale reggente di fatto del potere saudita si pone l’obiettivo di diversificare l’economia, oltre che le fonti di entrata delle casse statali.

Ad esempio, è stata introdotta per la prima volta un’imposta sui consumi (IVA) e i sussidi elargiti alle famiglie stanno venendo ridotti per tagliare i disavanzi fiscali. Per contro, queste misure di austerità impatteranno sulla crescita economica, rallentandone i ritmi, mentre ancora oggi Riad ha bisogno di quotazioni del greggio vicine agli 80 dollari al barile per chiudere il bilancio pubblico in equilibrio. Tenuto conto di queste criticità, il rischio default è assai basso, anche perché nel caso estremo di riduzione delle riserve valutarie sotto i livelli di guardia – e l’indebitamento serve proprio a non intaccarle – il paese avrebbe una mossa di riserva per mettersi al riparo da una crisi fiscale, cioè porre fine al “peg” tra il rial e il dollaro. Una misura, tuttavia, che resta ad oggi molto remota, data l’abbondanza di risorse di cui il regno dispone per fronteggiare i pagamenti verso l’estero anche nelle situazioni di stress.

Infine, le obbligazioni appena emesse appaiono interessanti anche sotto il profilo del rendimento e anche al netto dell’effetto-cambio. Stando agli spread Treasury-Bund, da qui ai prossimi 10 anni il cambio euro-dollaro si apprezzerebbe di circa il 16%. Proprio l’indebolimento già in corso del biglietto verde avrebbe contribuito a colpire i prezzi dei bond in esso denominati. In ogni caso, il rendimento effettivo delle due tranche rimarrebbe positivo e più elevato di quello che offrirebbero titoli di pari qualità nell’Eurozona. Inoltre, il rialzo atteso delle quotazioni petrolifere con la ripresa economica globale post-Covid sosterrebbe il mercato sovrano saudita, consentendo agli obbligazionisti di approfittarne per rivendere a prezzi più elevati prima delle scadenze.

Il taglio dell’offerta di petrolio dell’Arabia Saudita è sorprendente, ecco cosa c’è dietro

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